In tema di sospensione del pagamento dei canoni di locazione al tempo del virus Covid-19

Ho il piacere di girarvi due articoli sul tema scritti da due avvocati che fanno parte della nostra Rete di Professionisti UnicaMente. Entrambi i lavori esaminano le norme codicistiche alla luce della recente normativa emergenziale e mentre l’avv. Giuseppe Sparano pone, principalmente, l’accento sugli aspetti sostanziali delle norme codicistiche, l’avv. Raimondo Nocerino sofferma la sua attenzione sulla rilevanza processuale delle norme contenute nel Decreto Legge n. 18 del 20 marzo 2020 – cd. Cura Italia -. Dalla lettura di questi due interessanti interventi emerge un bel confronto, ricco di stimolanti spunti di analisi.

Prima di lasciarvi alla lettura dei due articoli, mi permetto di dare un semplice suggerimento e di fare due brevi riflessioni. Il suggerimento riguarda i conduttori ai quali consiglio di inviare (a mezzo raccomandata anticipata via fax, messaggio di posta elettronica certificata, telegramma) una tempestiva comunicazione al locatore con la quale lo si avvisa dell’impossibilità sopravvenuta di utilizzare l’immobile, per causa a lui non imputabile, e nel contempo, si formula una richiesta di sospensione del pagamento del canone di locazione, per tutto il tempo in cui saranno in vigore le limitazioni di cui alla decretazione d’urgenza.

La prima riflessione riguarda la necessità che il Governo e il Parlamento intervengano con un provvedimento legislativo che, quantomeno, preveda agevolazioni fiscali anche nei casi in cui il contratto di locazione per uso diverso riguardi gli immobili di categoria A e non solo quelli di categoria C, come finora avviene.

La seconda riflessione è un invito alle parti a trovare una soluzione conciliativa secondo criteri di solidarietà e buona fede, ispirati prima che dal diritto, dal buon senso non essendo interesse.

Avv. Alessandro Senatore

Alessandro Senatore, nato a Napoli il 7 giugno 1959, avvocato patrocinante presso la Suprema Corte di Cassazione, si è laureato in giurisprudenza nel 1984.presso l’Università Federico II di Napoli
Nel 1988 ha fondato  lo Studio Legale Senatore che svolge la propria attività nel settore civile.
La sua solida formazione professionale, consolidata da una vasta esperienza nell’ambito del contenzioso, gli ha permesso di dedicarsi, con particolare attenzione, agli aspetti riguardanti la materia del diritto di famiglia e delle successioni.
Mediatore Sistemico Familiare presso l’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Relazionale Familiare (ISPPREF ) di Napoli è fautore della mediazione, come pratica efficace per la soluzione dei conflitti
Consigliere del Presidente dell’UIA (Unione Internazionale degli Avvocati) nel 2014/2015 è da anni componente della Commissione di Diritto Matrimoniale di questo importante organismo internazionale.

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Inadempimento e responsabilità nel decreto cura Italia. Avv. Raimondo Nocerino

Il Decreto Legge n. 18 del 20 marzo 2020 – cd. Cura Italia – “trapianta” la fenomenologia dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, della quale a più titoli esso si interessa, nella materia delle obbligazioni e del relativo adempimento. Ciò avviene, in particolare, attraverso la disposizione dell’art. 91 co. 1 del Decreto citato: disposizione che aggiunge infatti un comma 6 bis all’articolo 3 del decreto  legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13. Secondo la previsione normativa: “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Vi è stata, in prima battuta, la tentazione di leggere nella disposizione l’introduzione opelegis  di una sorta di “autotutela” del debitore, quasi che il contesto emergenziale che l’Italia – e la sua economia nazionale – vive sia in sé ragione sufficiente a “scriminare”, e sempre, il debitore inadempiente. Ancora, una ulteriore lettura della disposizione parrebbe ricondurre il suo contenuto precettivo all’istituto della impossibilità della prestazione, quale cristallizzato dall’art. 1256 c.c. Chi scrive è in disaccordo con entrambe le declinazioni ermeneutiche offerte, essendo viceversa persuaso che il legislatore d’urgenza abbia avuto  comunque un  –diverso – merito nell’introdurre il dettato normativo qui in considerazione. Chiarisco le conclusioni che ho succintamente anticipato, con alcune brevi argomentazioni. I) Anzitutto,  l’ambito oggettivo di applicazione della disposizione posta dall’art. 91 co. 1 del D.L. cit. è ben più ampio della materia contrattuale e, segnatamente, dei contratti a prestazioni corrispettive (1467 c.c.); la previsione normativa, come si è visto, si riferisce al “debitore” e cioè al soggetto passivo del rapporto obbligatorio, il quale ultimo, come è noto, non origina esclusivamente da contratto (art. 1173 c.c.).  Ora, questa precisazione preliminare non deve essere trascurata. Infatti,  l’impossibilità della prestazione è elevata dalla disciplina codicistica, rispettivamente, a causa estintiva della obbligazione (art. 1256 c.c.) e a ragione di risoluzione del contratto (art. 1463 c.c. e ss.). Sicché, apparirebbe quanto meno curioso che un intervento emergenziale – che si ispira, per definizione, alla necessità di superare le difficoltà del momento –  abbia inteso identificare la fenomenologia emergenziale in considerazione con una ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione: l’effetto che ne deriverebbe sarebbe, per i contratti, l’impossibilità per la controparte di richiedere la (contro) prestazione e l’obbligo di restituirla se già l’avesse ricevuta; in parole diverse, sarebbe stata introdotta una ulteriore causa legale estintiva/risolutiva. Le conseguenze pratiche di un tale ragionamento condurrebbero a ritenere, allora, che a) il conduttore inadempiente dovrebbe rilasciare l’immobile locato; b) il mutuatario inadempiente all’obbligo di pagare alcune rate dovrebbe restituire la somma mutuata. Un approdo draconiano del tipo di cui si è detto mi pare vada escluso, e, sul piano dei criteri ermeneutici che fondano l’attività interpretativa, è, a ben considerare, lo stesso art. 91 co. 1 cit. ad escluderlo; così, in particolare, quando – non casualmente – esso disposto non opera richiamo letterale all’art. 1256 c.c. (ovvero all’art. 1463 c.c.). Non  casualmente, appunto. La disposizione posta dall’art. 1256 c.c., del resto, tradizionalmente avvince la casistica della impossibilità fisica di esecuzione piuttosto che quella giuridica (Cass., sez. III, n. 26959/2007, richiamata più recentemente da Cass., sez. III, 29/03/2019, n.8766, riferisce il campo applicativo della disposizione codicistica al caso in cui “impossibile [è] l’esecuzione della prestazione del debitore”). Orbene, nel conduttore che, in ragione del contesto emergenziale, non adempia al pagamento dei canoni medio tempore dovuti non si registra alcuna impossibilità tecnica o esecutiva nell’adempimento. II) In senso diverso, l’art. 91 co. 1 cit. ha riguardo non all’adempimento della prestazione ma, propriamente, all’inadempimento di essa ed alla responsabilità che ne consegue (art. 1218). E, per questo, introduce, per così dire, un criterio (relativo) di esonero di responsabilità per l’inadempimento, il quale – è bene sottolinearlo – non dispiega (se verificato come ricorrente nel caso di specie) portata caducante di un più ampio rapporto nel quale la prestazione inadempiuta si innestasse. In estrema sintesi, l’art. 91 co. 1 cit. valorizza l’impossibilità soggettiva di adempiere ai soli fini della eventuale esclusione della affermazione della responsabilità da inadempimento del debitore ex art. 1218 c.c. Non si tratta di un semplice gioco di parole. Il legislatore (come visto), lungi dal tipizzare una causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione, ha, propriamente, tipizzato il perimetro  della valutazione giudiziale, la quale sarà chiamata a considerare il presupposto normativo (del “rispetto delle misure”) ex art. 91 cit. ai fini della affermazione della “non imputabilità dell’inadempimento” e, dunque, dell’esonero della responsabilità ex art. 1218 c.c.  III. Il criterio introdotto dall’art. 91 co.1, inoltre, è relativo in quanto  “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto” va sempre valutato (dal Giudice) ai fini della affermazione della responsabilità da inadempimento ovvero del suo esonero, ma non esonera esso stesso dalla responsabilità. Ciò significa, si ribadisce, che la disposizione non ha portata sostanziale, etero-regolando il rapporto debito-credito; si tratta, in sintesi, di una direttiva che il legislatore dell’emergenza impone al Giudicante in sede di eventuale controversia (o alle parti stesse in sede di ipotetica  prodromica negoziazione/mediazione). Si è al cospetto, ancora, di direttiva che è senz’altro obbligatoria per il Giudicante, fermo l’esito della “valutazione” che questi condurrà in concreto. Un tale valutazione, diversamente detto, potrà conchiudersi nel ritenere che il rispetto delle misure escluda, nel caso concreto, la responsabilità da inadempimento ovvero, ed all’opposto, nel senso che il rispetto di tali misure non valgano ad escludere la responsabilità in argomento.  In ultima analisi, in costanza di emergenza cd. coronavirus, il decreto legge si limita a chiarire che, ai fini dell’art. 1218 c.c., la non imputabilità dell’inadempimento dovrà essere apprezzata, caso per caso, alla luce del rispetto“delle misure di contenimento di cui presente decreto”. Il che, né più e né meno, significa imporre al Giudicante l’osservanza di una direttiva ermeneutica in sede di “concretizzazione” di una clausola generale (nella specie, art. 1218 c.c. in parte qua si legge “a lui non imputabile”).

Avv. Raimondo Nocerino

Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.

Dottore di ricerca.

Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.

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Effetti della pandemia sui contratti – tesi dell’unitarietà – Avv. Giuseppe Sparano

Sul noto presupposto dell’articolazione codicistica tra i Capi e le diverse Sezioni delle obbligazioni in generale (con le dicotomie e complementarietà ad es. degli l’artt.1176 e 1218 c.c.), resa ulteriormente complessa dagli indispensabili raffronti con la normativa concernente i contratti in generale e quelli singoli, l’attuale indagine si limita all’inadempimento (come vicenda dell’obbligazione) per verificarne le ipotesi e gli effetti della non imputabilità.
La dichiarata pandemia e i relativi provvedimenti legislativi adottati in Italia nell’ultimo periodo sono da qualificarsi come factum principis caratterizzato da essere un evento:
– estraneo alla sfera di controllo del contraente
– inevitabile (trattasi di provvedimenti a tutela della collettività ed il singolo, pur avendone teoricamente facoltà, ha un interesse inesistente o alquanto affievolito ad impugnarli).
La potestà legislativa che ha consentito anche soltanto alcuni specifici intervenuti sui contratti di lavoro (Titolo II D.L. 18/2020 Misure a sostegno del lavoro – artt.20 e ss. attribuendo in particolare anche la specifica codifica causale ex art.8 DM 9544/2016), sui contratti di patrocinio legale (Titolo V Ulteriori misure – art.83 e ss. sospensione delle udienze/procedimenti), su contratti di soggiorno e di acquisto di titoli di accesso a spettacoli di qualsiasi natura (art.88) e su alcuni contratti di appalto pubblico (art.91 col quale è aggiunge il comma 6 bis all’art.3 del DL 6/2020 convertito con modificazioni con Legge 13/2020) è, a mio avviso, sufficiente affinché sul piano giuridico ciò debba necessariamente valere per tutti i contratti.
In ogni contesto in cui l’adempimento o meglio l’inadempimento è in stretto rapporto causale con la legislazione limitativa ricorre l’esimente. Le regole codicistiche sono generali e i principi di coerenza giuridica e di equanimità prevedono che una volta applicate anche soltanto ad alcune delle predette fattispecie devono riguardare l’intero sistema: se il presupposto dell’impossibilità sopravvenuta è il medesimo anche gli effetti lo devono essere.
Al contempo il predetto evento esimente deve essere in rapporto causale con l’effettiva impossibilità di adempiere.
Il principale ambito di intervento della decretazione d’urgenza è l’inibizione per legge di un corposo numero di attività produttive al quale si aggiunge quella degli spostamenti sul territorio (riguardante prevalentemente le attività di trasporti anche se di minore impatto stante la deroga per conclamata necessità).
La complessiva entità dei molteplici contratti di ogni singola attività produttiva forzatamente impedita dalla decretazione, a mio avviso, subisce la modifica del sinallagma e dei reciproci obblighi dei contraenti con i relativi effetti da valutare, a seconda dei casi, a mezzo delle regole codicistiche e di eventuali contrattualizzate clausole in caso di pandemia.
La disamina di alcune ipotesi concrete da per presupposto che l’indagine concerne quei contratti i cui termini per l’adempimento non è ancora scaduto (o scaduto nelle more della decretazione) e di quelli ad esecuzione continuata o periodica.
Nei contratti di fornitura in cui la merce non è stata consegnata, l’acquirente al quale è stata impedita l’attività ha il diritto a far valere la cessazione dell’interesse alla merce rispetto al venditore che ne attende il pagamento.
A mio avviso ricorre l’impossibilità sopravvenuta stante il diretto rapporto causale con l’esimente: l’acquisto è funzionale all’attività. Le conseguenze sono il diritto di non adempiere ed evitare la consegna senza ulteriori aggravi. Similare situazione è quella in cui la merce sia stata già consegnata con il diritto a poterla restituirla senza adempiere al pagamento. In entrambi i casi gli effetti sono l’estinzione delle reciproche obbligazioni ai sensi dell’art.1256 c.c. E’ ipotizzabile che ciò valga per l’intera filiera anche a monte del fornitore per i contratti di approvvigionamento della materia prima e così via, con i dovuti discrimini per il permanere del necessario rapporto causale nella sua continuità.
Tra i contratti a prestazione continuata, le obbligazioni concernenti le locazioni subiscono, a mio avviso, similari conseguenze. Al contempo ricorre la peculiare previsione dell’art.1467 c.c. che consente anche la modifica concordata delle condizioni del contratto (l’ipotesi codicistica di “avvenimenti straordinari ed imprevedibili” possono ricondursi alla descritta medesima impossibilità sopravvenuta). Il conduttore la cui attività produttiva è stata impedita dalla decretazione d’urgenza ha il diritto di ritardare il pagamento dei canoni e/o di concordarne di diversi.
Per i contratti di patrocinio legale la prestazione è anch’essa impedita e ciò vale quale esimente da imputazioni di inadempimento. Al contempo, come in molteplici altri rapporti contrattuali, l’impossibilità è temporanea e gli effetti sono sia quelli stabiliti dal citato art.1467 c.c. e sia dall’art.1256, co.2 c.c.. Ai contraenti è rimessa la valutazione sul titolo dell’obbligazione e sulla natura dell’oggetto: ad esempio il cliente, quale creditore della prestazione, può dichiarare di non averne più interesse con estinzione dell’obbligazione, oppure il legale, per il perdurare dell’impossibilità può ritenere di non poter più espletare l’incarico ed anche in tal caso ricorre l’estinzione.
L’interesse delle parti alla prosecuzione o all’estinzione del contratto è coerente alla peculiare ipotesi di impossibilità sopravvenuta di carattere non definitivo (come invece
fu ad es. il divieto di meretricio imposto nel 1956 dalla cd legge Merli o i divieti a contrarre disposti dalle leggi razziali del 1939 in danno dei cittadini qualificati di “razza ebrea”). La temporaneità è inoltre per un periodo di tempo indeterminato (corrispondente a quanto durerà l’emergenza e sino a quando non verranno revocati i provvedimenti assunti) con un precedente rinvenibile nella legislazione speciale sugli ammassi agricoli del 1939, rimasta in vigore ben oltre la conclusione del secondo conflitto mondiale.
Avv. Giuseppe Sparano
Dottore di ricerca
Università Federico II Napoli

Avv. Giuseppe Sparano, nato a Napoli il 18.2.1965

Laureato nel 1987 con lode, presso l’Università Federico II di Napoli
Iscritto all’Albo degli Avvocati di Napoli dal 22.2.1991 -patrocinio presso le Corte Superiori.
Dottore di ricerca in Diritto delle Imprese in crisi –  Università Federico II di Napoli
Docente di Diritto Commerciale corso in “Diritto dei contratti d’impresa” nelle Scuole di Specializzazione delle Professioni Università Federico II di Napoli e Università Vanvitelli (già  Seconda Università di Napoli).
Presidente dei Collegio dei probiviri della Camera degli Avvocati Civili di Napoli (già segretario e tesoriere).

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