Autorizzazione commerciale e condono edilizio

Se è legittimo o meno il rilascio di un’autorizzazione commerciale, relativamente ad immobili per i quali pende domanda di condono edilizio non ancora esitata dall'amministrazione

 

La disamina della presente questione si risolve nello stabilire se sia legittimo o meno il rilascio di un’autorizzazione commerciale, ovvero alla somministrazione di alimenti e bevande, in pendenza di una domanda di condono non ancora esitata da parte dell’amministrazione comunale.

Giova premettere, al riguardo, che l’analisi delle disposizioni normative di settore (quella commerciale, da un lato, e quella condonistica, dall’altro) hanno alimentato la querelle che, solo di recente, ha trovato soluzione nelle, non sempre univoche, pronunce dei Tribunali amministrativi.

In maggior dettaglio, la normativa commerciale (D.lgs 114/98, Legge 287/91 e D.lgs n. 59/2010) prescrive, quanto ai requisiti oggettivi che devono sussistere per il rilascio delle relative autorizzazioni, che le attività devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienica-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici.

Precedentemente all’entrata in vigore della suddetta disciplina normativa (e nel vigore dell’art. 24, comma III, Legge 426/71), la giurisprudenza amministrativa era pervenuta alla conclusione che non competesse all’amministrazione verificare, in sede di rilascio dell’autorizzazione, la compatibilità dell’esercizio commerciale con la disciplina urbanistica o con la normativa edilizia, in quanto gli interessi diversi da quelli commerciali, indicati nell’abrogato art. 24 della Legge 426/71, dovevano essere tutelati con altre modalità ed in diverse sedi (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. III, 30 settembre 1986, n. 1957; Tar Veneto, 4 dicembre 1985, n. 942; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 6 giugno 1988, n. 177; Tar Lazio, Latina, 27 gennaio 1990, n. 41; Tar Toscana, sez. II, 20 marzo 1996, n. 155; Tar Sardegna, 23 agosto 1996, n. 1971).

Tale orientamento giurisprudenziale, rinvenibile oggi sono in alcune isolate pronunce (cfr. Cons. Stato, sez. III, 02 dicembre 2003, n. 1879), muoveva dalla considerazione per cui la disciplina dettata in materia di commercio non subordinava esplicitamente il rilascio o il mantenimento dell’efficacia dell’autorizzazione all’accertamento della compatibilità del pubblico esercizio da autorizzare con le norme e prescrizioni urbanistiche, ma si limitava a stabilire che l’esercizio dell’attività non esclude il rispetto delle norme e prescrizioni suddette, restando salva l’irrogazione delle sanzioni relative alle norme e prescrizioni violate (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 2 agosto 1993, n. 659).

Con l’entrata in vigore della Legge 287/91, prima, e del D.lgs 114/98 e del D.lgs n. 59/2010, poi, è maturata la consapevolezza che le disposizioni in materia di commercio stabiliscono un stretto collegamento tra la programmazione delle rete commerciale e la pianificazione urbanistica, sicché l’apertura e degli esercizi commerciali e di quelli di somministrazione di alimenti e bevande, è subordinata alle previsioni di quest’ultima, trattandosi di un rapporto tra attività di gestione e attività programmatoria (cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 03 febbraio 2006, n. 160; Tar, Lombardia, 17 ottobre 2008, n. 5154), anche in considerazione della circostanza per cui l’amministrazione comunale non potrebbe tollerare una situazione che, per altri versi, dovrebbe reprimere (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. III, 08 agosto 2007, n. 7409; TRGA, Bolzano, sez. I, 01 ottobre 2003, n. 427).

Con la conseguenza che l’apertura di esercizi commerciali e di somministrazione presuppongono la conformità dei relativi locali alle prescrizioni urbanistiche (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2001; Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2521; Tar Campania, Napoli, sez. III. 23 febbraio 2003, n. 1250).

Tale orientamento, peraltro, è stato di recente ribadito dal Supremo Consesso di giustizia amministrativa il quale ha avuto modo di chiarire che “in ordine alla necessaria relazione di conformità tra autorizzazione commerciale e disciplina urbanistica, del resto, dispongono norme ancora più puntuali. Così, il già citato art. 24 L. 11 giugno 1971 n. 426, al terzo comma, prevede che l’autorizzazione al commercio “fermo il rispetto dei regolamenti locali di polizia urbana, annonaria, igienico-sanitaria e delle norme relative alla destinazione ed all’uso dei vari edifici nelle zone urbane, è negata solo quando il nuovo esercizio o l’ampliamento o il trasferimento dell’esercizio esistente risultino in contrasto con le disposizioni del piano e della presente legge”. Un’applicazione specifica del principio – in termini letterali indubbiamente più chiari – si rinviene, per gli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, nell’art. 3 L. 25 agosto 1991 n. 287, il quale dispone che le attività relative devono essere esercitate “nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici, fatta salva l’irrogazione delle sanzioni relative alle norme e prescrizioni violate” (settimo comma). Dal confronto tra i due testi, per altro, si evince agevolmente come, se non vuol considerarsi del tutto pleonastica nel primo, la salvezza delle norme in questione ha il valore, fatto palese nel secondo, di elemento costitutivo della fattispecie normativa…..Senza in alcun modo disconoscere, quindi, che nelle materie del commercio e dell’edilizia poteri diversi sono posti a tutela di interessi di diversa natura e che ciascun provvedimento è caratterizzato da una funzione tipica, deve ammettersi che la stretta connessione tra di esse ha indotto il legislatore ad indicare lo stesso fatto, rappresentato dalla conformità alle disposizioni più volte citate, quale presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della materia urbanistica che di quella del commercio. A chiusura del sistema, del resto, va notato che tra le norme di cui il menzionato art. 24 L. 11 giugno 1971 n. 426 richiede l’osservanza vi sono quelle della stessa legge n. 426 e, quindi, anche quelle più sopra considerate che istituiscono tra i due ambiti, urbanistico-edilizio e commerciale, la relazione che si è detta. Si ritiene, in conclusione, di poter affermare che alla stregua della normativa vigente l’indagine sulla conformità dell’immobile alla disciplina urbanistico-edilizia…..rappresenta un momento istruttorio necessario, in quanto diretto ad accertare l’esistenza di un presupposto espressamente previsto dalla legge e che, pertanto, sia inibito all’autorità amministrativa il rilascio degli atti autorizzativi quando detta conformità faccia difetto” (cfr. in terminis Cons. Stato, sez. V, n. 3639/2000; Cons. Stato, sez. IV, 3027/2007).

Con la conseguenza per cui “l’attività commerciale non può essere autorizzata in immobili difformi dalla disciplina urbanistica” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 aprile 2005, n. 1543; Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 2008, n. 3398).

Nonostante l’approdo ermeneutico cui è giunta la giurisprudenza amministrativa in merito alla normativa dettata in subiecta materia, rimaneva irrisolta la questione relativa alla legittimità o meno del rilascio di un titolo autorizzatorio per immobili coperti da domanda di condono senza che la stessa fosse ancora esitata: questione, quest’ultima, alimentata dalle incertezze determinate dalla normativa condonistica di cui alla legge 47/85.

Partitamente, la disposizione a carattere generale di cui all’art. 44, primo comma della legge 47/85 stabilisce espressamente che “dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino alla scadenza dei termini fissati  dall’art. 35, sono sospesi i procedimenti amministrativi e giurisdizionali e la loro esecuzione, quelli penali nonché quelli connessi all’applicazione dell’articolo 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, attinenti al presente capo.”

Sospensione questa che comporta, quale conseguenza concreta, che la situazione dell’immobile e di ogni rapporto sussistente con il proprietario deve restare immutata rispetto alla situazione dell’immobile stesso alla data di entrata in vigore della legge, in condizioni di reciprocità, nel senso che la menzionata situazione di fatto non può né regredire, mediante iniziative della P.A. che riducono le facoltà di utilizzazione già in atto, né tantomeno può essere fatta avanzare, attraverso delle attività del privato che aumentino le facoltà già in atto.

E ciò con la ulteriore conseguenza che l’Amministrazione sarebbe tenuta a garantire al titolare della istanza di sanatoria, il mantenimento della destinazione commerciale e dell’uso dell’immobile in atto a quella data, con l’obbligo corrispettivo per esso “titolare” di non introdurre modificazioni rispetto a quella condizione di fatto innanzi indicate.

Pertanto, ove l’immobile oggetto di domanda di condono avesse destinazione commerciale, l’Amministrazione, al momento del rilascio dell’autorizzazione, non sarebbe tenuta a verificare la conformità del menzionato locale alla normativa edilizio-urbanistica, bensì esclusivamente a garantire al privato la continuazione nella utilizzazione dell’immobile secondo la propria destinazione.

Tali conclusioni, peraltro, sarebbero avallate dal regime transitorio di utilizzazione dei beni, nella condizione fissata alla data di entrata in vigore della legge 47/85, laddove si consideri che la disposizione di cui all’art. 40 della L. 47/85, fino a quando l’Amministrazione non abbia espresso un provvedimento di diniego alla istanza di sanatoria, ammette sia la commerciabilità per atto tra vivi, sia la possibilità di cederli in locazione.

Peraltro, con riferimento ad edifici destinati ad impianti produttivi, – esercizi commerciali, attività alberghiere – il combinato disposto dell’art. 34, ultimo comma e dell’art. 35, 3° comma, lett. d), ha stabilito un’oblazione pari al 50% di quella per le “residenze”, con parametri di riduzione o maggiorazione, connessi a classi di ampiezza delle opere abusive, perché venisse prodotto un certificato di iscrizione alla C.C.I.A.A., “da cui risulti che la sede dell’impresa” alla data di entrata in vigore della legge “è situata nei locali per i quali si chiede la concessione in sanatoria”; sede dell’impresa questa costituente quindi conditio sine qua non per poter beneficiare delle riduzioni per le destinazioni produttive, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 34.

L’entrata in vigore della legislazione sul “condono edilizio”, legittimerebbe, dunque, la facoltà del proprietario di poter utilizzare l’immobile per la medesima destinazione d’uso consolidatasi nell’immobile e comunque in atto alla data di presentazione della istanza di condono.

A suffragio di tale tesi, la giurisprudenza di alcuni Tribunali Amministrativi Regionali aveva chiarito che “l’abusività del fabbricato attiene soltanto al momento genetico non potendosi escludere, nel quadro della normativa introdotta dalla legge n. 47/85, la sua postuma legittimazione e la titolarità, in capo al proprietario che di quel bene ha chiesto il condono, di una aspettativa giuridica  alla citata legittimazione tramite appunto condono. Da quanto precede discende che l’abusività del fabbricato in questione (del quale è stato chiesto il condono) è condizionata al diniego del beneficio e perciò deve ritenersi sospesa in pendenza della relativa determinazione dell’Amministrazione. Orbene prima che intervenga tale diniego (che consoliderebbe l’abusività dell’edificio), appare conforme a logica e a principi di tutela della proprietà privata che il titolare dell’aspettativa possa, in pendenza della domanda di condono, compiere atti conservativi del bene e mantenere integre le sue ragioni” (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. III, 2 febbraio 2001, n. 546/2001)

In ragione di tanto, da più parti, si era ipotizzata la possibilità di rilasciare autorizzazioni commerciali relativamente ad immobili per i quali pendeva domanda di condono non ancora esitata dall’amministrazione comunale stante l’obbligo – discendente ex lege – di garantire la continuazione nella utilizzazione del locale per la destinazione commerciale.

Per converso, dalla lettura della normativa di riferimento (D.lgs 114/98, Legge 287/91 e D.lgs n. 59/2010) discende, in positivo, che l’esistenza di un valido titolo concessorio costituisce indispensabile presupposto per il rilascio dell’autorizzazione commerciale e alla somministrazione di alimenti e bevande e, in negativo, che la stessa preclude all’amministrazione di assentire autorizzazioni in locali privi delle necessarie autorizzazioni edilizie.

Ed invero, l’autorità preposta deve verificare la sussistenza, oltre che dei requisiti di carattere soggettivo e oggettivo previsti dalla normativa di riferimento, anche degli ulteriori parametri indicati dalla legge, quali, in particolare, la conformità della destinazione d’uso dell’immobile da destinare ad attività commerciale ed il rispetto delle norme, prescrizioni, autorizzazioni in materia edilizia ed urbanistica.

In linea, dunque, con la granitica giurisprudenza secondo cui è “illegittima l’autorizzazione di somministrazione a causa della inidoneità dei locali, privi di concessione edilizia” (cfr. Tar Campania Napoli, sez. III, n. 4493/01; Tar Campania, 16 novembre 2000, n. 4285; Tar Campania Napoli, sez. III, 19 luglio 2001, n. 3442; Tar Campania Napoli, sez. IV, n. 164/1996; Tar Lazio Roma, sez. II, 12 novembre 2003, n. 9894; Cons. Stato, sez. V, n. 5854/04; Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 2000, n. 3639; Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2000, n. 5656) si è attestata la successiva giurisprudenza che ha avuto modo di chiarire come la mera presentazione dell’istanza di condono non risulta sufficiente a confortare del rispetto delle norme, prescrizioni vigenti in materia edilizia, atteso che “la domanda di sanatoria conferma l’abusività dei locali e non sostituisce certo la concessione”(cfr. sul punto Tar Campania, Napoli, sez. III, n. 7324/2005; Tar Campania, Napoli, sez. III, n. 4493/01).

E ciò in quanto, le attività commerciali e di somministrazione“devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni ed autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica ed igienico-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici”. Come appare pacifico già dalla mera lettura della disposizione in esame, il legislatore ha inteso affermare che, ai fini del rilascio delle autorizzazioni per l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, l’autorità amministrativa competente deve verificare non solo la ricorrenza di presupposti e requisiti previsti…………. e, più in generale, dalle disposizioni volte alla disciplina delle attività commerciali, ma anche quelle più specificamente relative alla legittima utilizzabilità dei locali ai fini dello svolgimento dell’attività autorizzanda, sia sotto il profilo edilizio-urbanistico sia sotto il profilo igienico-sanitario. Ne consegue che l’accertamento della conformità del locale alla disciplina edilizia ed urbanistica, in primis asseverata attraverso la verifica della realizzazione del locale stesso sulla base di idonei e legittimi titoli autorizzatori, nonché alla disciplina igienico-sanitaria, asseverata attraverso idonea verifica, costituiscono presupposti indefettibili per il rilascio dell’autorizzazione. Di modo che, laddove il locale indicato come luogo di svolgimento dell’attività non risulti conforme alle citate prescrizioni, l’autorizzazione………. Nel caso di specie, il locale indicato ai fini dello svolgimento dell’attività da autorizzarsi è oggetto di istanza di condono edilizio ………….. sulla quale l’amministrazione comunale non si è pronunciata, come si evince sia dal certificato di agibilità provvisoria…………. Orbene, tale circostanza rende illegittima l’autorizzazione rilasciata in quanto essa riguarda una attività da svolgersi in locale che risulta, per un verso, non conforme alla disciplina edilizia e urbanistica, né “ricondotto a conformità”, per effetto dell’istanza di condono presentata. …Né conduce a diversa conclusione quanto dedotto sia dal Comune sia dalla controinteressata, in ordine alla commerciabilità del bene, in pendenza di decisione sulla istanza di condono, poiché, nel caso di specie, non si discute della trasferibilità di un bene, o dei diritti sul medesimo, bensì della assentibilità di un provvedimento di natura commerciale, subordinata alla positiva verifica della conformità dei locali di svolgimento dell’attività alla normativa edilizio-urbanistica; conformità, come si è detto, assente al momento del rilascio dell’autorizzazione impugnata (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. III, 02/11/2015,  n. 5081; in terminis Tar Campania, Napoli, sez. II, 03 novembre 2005, n. 9711/06).

Di recente, peraltro, il principio è stato ribadito dal Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa il quale ha chiarito che “l’art. 3 comma 7, l. 25 agosto 1991 n. 287, nel disporre che le attività di somministrazione di alimenti e bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme in materia edilizia, urbanistica ed igienico-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici, richiede ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni che l’autorità amministrativa verifichi non solo la presenza dei presupposti e requisiti in materia di attività commerciale, ma accerti anche la conformità dei locali, da utilizzare per l’autorizzanda attività, alle norme predette sotto il profilo sia edilizio-urbanistico che igienico-sanitario; di conseguenza è illegittima l’autorizzazione rilasciata relativamente ad un’attività di somministrazione di bevande da svolgersi in un locale non conforme alla disciplina edilizia e urbanistica né ricondotto a conformità per effetto dell’accoglimento dell’istanza di condono presentata ma non ancora definita”(cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2009, n. 3262).

È evidente, dunque, che le enunciazioni giuridiche dei Giudici amministrativi ribadiscono, correttamente interpretando la normativa di riferimento, orientamenti giurisprudenziali assolutamente pacifici che precludono il rilascio di un’autorizzazione alla somministrazione in pendenza di una domanda di condono non ancora esitata.

La preclusione al rilascio di idoneo titolo commerciale in pendenza di domanda di condono non ancora esitata rileva, peraltro, sotto altro e diverso profilo.

Segnatamente, come noto, il rilascio dell’autorizzazione commerciale presuppone il previo rilascio del certificato di agibilità ai sensi dell’art. 24 e ss D.P.R. 380/2001, come sostituito, da ultimo, dall’articolo 3, comma 1, lettera i), del D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222 (ovvero il consolidarsi della Scia presentata dal privato).

La normativa richiamata, così come affermato da granitica giurisprudenza, chiarisce che il certificato de quo (recte, il c.d. consolidarsi della segnalazione di inizio attività) non ha più solo finalità igienico-sanitarie – proprie della licenza di abitabilità e agibilità previste dalla legislazione previgente – ma può essere rilasciata solo ed esclusivamente allorché siano stati accertati dall’amministrazione idonei requisiti di sicurezza degli edifici, degli impianti installati nonché la conformità dello stesso alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie.

Con la conseguenza che la pendenza della domanda di condono, rimarcando l’abusività dell’immobile, preclude all’amministrazione il rilascio anche del certificato di agibilità.

In giurisprudenza è stato ripetutamente affermato che “se i locali sono abusivi l’agibilità non può essere rilasciata, non avendo alcun significato dichiarare agibile un locale non conforme alla disciplina urbanistico –edilizia o del quale non è stata o è stata falsamente attestata la conformità al progetto approvato, perché il progetto non è stato approvato o l’opera è stata realizzata in difformità da esso”(cfr. Tar Veneto, Venezia, sez. III, n. 4702/03; Tar Veneto, sez. II, 17 novembre 1997, n. 1569; Cons. Stato. Sez. VI, 15 luglio 1993, n. 535; Tar Puglia Bari, sez. II, 15 giugno 1995, n. 467; Cass. Pen., sez. III, 18 novembre 1997, n. 3905; Cass.Pen., sez. III, 10 gennaio 1994, n. 72).

Ed ancora “L’esercizio dissociato dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la realizzazione di più interessi pubblici, specie ove tra di essi sussista un obiettivo collegamento, contrasta con il basilare criterio di ragionevolezza e, pertanto, è in evidente contrasto con il principio di buona amministrazione esplicitato anche dalla l. n. 241 del 1990: pertanto, pur non disconoscendosi che poteri diversi sono posti a tutela di interessi di diversa natura e che ciascun provvedimento è caratterizzato da una funzione tipica, la stretta connessione tra diversi tipi di provvedimento può legittimamente indurre ad indicare il medesimo fatto quale presupposto per l’esercizio di poteri diversi e dunque, nella specie, è legittimo il diniego dell’agibilità dei locali per ragioni paesistico – urbanistiche”(cfr. Consiglio Stato , sez. V, 05 aprile 2005, n. 1543).

Dello stesso avviso, la dottrina prevalente che subordina “il rilascio del certificato di agibilità alla accertata conformità del manufatto alla normativa edilizia ed urbanistica”(N.Assini-P.Mantini, Manuale di diritto urbanistico, Giuffrè edizione, 2007, pag. 835 e ss; M. Baroni, I presupposti per la licenza di abitabilità: non è vero che occorrono solo requisiti igienico-sanitari, TAR, 1987, II, 89 ss; V.Vincenzi, Abitazioni (igiene delle), EGI, I, Roma, 1988; C. De Caro Bonella, La licenza di abitabilità, Napoli, 1978, pag. 30 ss; V. Domenichelli, Alcune (tristi) riflessioni sulla nuova disciplina del certificato di abitabilità, D. REG (Veneto), 1986, pag. 445 ss; M.S.Giannini, In tema di licenza di abitabilità, FA, 1956, I, 2, 517 ss; F. Gaualandi, La disciplina del certificato di abitabilità: nuove problematiche alla luce del D.P.R. 22 aprile 1994, RG ED, 1995, II, pag. 53 ss; G. Pagliari, Corso di diritto urbanistico, Milano, 2002, pag. 351 ss.).

E ciò in quanto “il procedimento di rilascio come un momento riepilogativo del controllo sull’attività edilizia, “data la stretta connessione fra norme previste dalla leggi sanitarie e quelle sancite dalla legge urbanistica in materia di costruzioni, che non consente una distinzione tra tutela di fini esclusivamente igienico-sanitari e tutela di fini esclusivamente urbanistico-edilizi”(cfr. De Caro Bonella, op. cit., pag. 30 ss).

Appare evidente, anche per tale ulteriore considerazione, che in ogni caso il certificato di agibilità (il consolidarsi della relativa SCIA) non può essere rilasciato laddove l’immobile risulta abusivo, e dunque realizzato in assenza dei necessari titoli abilitativi che ne certifichino la conformità alle prescrizioni e di carattere squisitamente urbanistico, sebbene pendente una domanda di condono.

Con la conseguenza per cui sarebbe illegittimo il rilascio da parte dell’amministrazione di una certificazione provvisoria di agibilità “non prevista dall’ordinamento che, comunque, può riguardare solo manufatti conformi alla disciplina edilizia ed urbanistica, e sulla cui base, pur avendo essa efficacia temporaneamente definita (un anno), è stata rilasciata l’autorizzazione senza particolari prescrizioni temporali e quindi fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello del rilascio”(cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2009, n. 3262).

Recentemente è stato, peraltro, chiarito che “la conformità dei manufatti alle norme urbanistico – edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 e 35, comma 20, L. n. 47 del 1985; del resto, risponde ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione è preordinata la disciplina urbanistico – edilizia” (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 592; T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, Sent., 01-08-2012, n. 1447).

Con la conseguenza per cui “il certificato di agibilità non può essere ottenuto, in relazione ad immobili abusivi, se non quando risulti rilasciato il permesso di costruire in sanatoria” (cfr. in terminis, Tar Campania, Napoli, Sezione VII, 21 dicembre 2012 n. 5293).

E ciò in quanto, non essendo previsto nel nostro ordinamento giuridico la figura del titolo abilitativo provvisorio tale figura si porrebbe in contrasto con il principio di tipicità che sovrintende il principio dell’adozione di atti amministrativi validi ed efficaci.

L’agibilità provvisoria materializzerebbe aberrante figura di titolo rilasciato dall’amministrazione in precario che, viceversa, non ha cittadinanza nell’ordinamento amministrativo italiano.

Conclusivamente, relativamente ad immobili per i quali pende domanda di condono è precluso all’amministrazione il rilascio di idoneo titolo commerciale sia per conclamato contrasto con le prescrizioni edilizie ed urbanistiche – come detto non ricondotte a conformità dalla pendenza della istanza di sanatoria – sia per la preclusione che incontra la P.A. nel consentire il consolidarsi della Scia presentata dal privato ai sensi degli artt. 24 e ss. del D.P.R. 380/2001.

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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