CONSULENZA SPECIALISTICA ALLA PREVENZIONE COVID -19

CONSULENZA SPECIALISTICA ALLA PREVENZIONE COVID -19

Per ripartire bisogna organizzarsi in tempo e sapere come muoversi nel mare confuso delle ordinanze.
Per questo la Rete di Professionisti UnicaMente ha deciso di offrire una consulenza che sappia consigliare gli imprenditori e le società in questa seconda fase e possa affiancarli con serietà e professionalità.

ADEGUARSI ALLA PREVENZIONE COVID 19

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La corretta prevenzione si implementa nelle molteplici dinamiche aziendali.
La tutela della salute in azienda, protocolli condivisi di prevenzione, vicini alle persone.
Uno staff di specialisti: tecnici della sicurezza, medici del lavoro e consulenti giuridici è pronto a fornire alla vostra azienda quanto necessario per un corretto adeguamento alla normativa.

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LA GIUSTIZIA CIVILE AI TEMPI DEL“CORONAVIRUS”

LA GIUSTIZIA CIVILE AI TEMPI DEL“CORONAVIRUS”

La situazione di emergenza creata dal Covid-19, nel campo del processo ha determinato la “sospensione” generalizzata di udienze e termini processuali prevista dai commi 1 e 2 dell’art. 83 D.L. 18/2020.

Il termine finale di tale sospensione più volte posticipato, con tutta probabilità verrà prorogato a fine  giugno, una data  vicina al periodo feriale, per cui è facile pensare che l’attività nei Tribunali riprenderà solo dopo la pausa estiva, quando, si spera, saremo definitivamente usciti dall’emergenza .

Se vogliamo governare questa crisi dobbiamo immaginare, sin da ora, soluzioni che possano garantire un’immediata ripresa, seppure parziale, dell’attività giudiziaria. Un rinvio indiscriminato a dopo l’estate non è degno di un Paese civile. Non è accettabile che i procedimenti relativi alle controversie in materia di famiglia (a tal proposito mi chiedo fino a quando saranno sospese le negoziazioni assistite) di lavoro, di locazione, societario e fallimentare possano subire una paralisi così lunga, soprattutto se si pensa che nel nostro Paese la Giustizia è già al collasso.

Nel decreto  Cura Italia sono previsti alcuni strumenti.  Lo svolgimento delle udienze  civili mediante collegamenti da remoto non essendo tutti adeguatamente formati, con tutta probabilità determinerà la diminuzione del numero dei processi trattati per ogni singola giornata, il che comporterà, giocoforza, ulteriori differimenti con rinvii, anche delle nuove cause, al 2021.

Nel decreto è prospettata un’altra ipotesi e cioè quella di consentire la celebrazione dell’udienze nella forma cosidetta “figurata” preservando lo scambio delle difese e dei documenti all’esito del quale  il provvedimento è reso fuori udienza. Il nostro processo civile, da anni,si avvale degli strumenti telematici e chi conosce la procedura civile sa bene che il processo si svolge seguendo un binario preordinato, fatto di scadenze e decadenze. Se si esclude la fase istruttoria, per la quale è necessaria la presenza fisica dell’avvocato e dei testi, nelle altre udienze, con il deposito di difese scritte, il diritto alla difesa non è violato

Per non parlare del processo in fase di appello che si trascina stancamente senza che sia richiesta alcuna attività dell’avvocato, fatta eccezione per le udienze collegiali, che si concludono, il più delle volte con un sommesso “può passare a sentenza” nella speranza che il magistrato relatore non rinvii la causa  di un altro anno “per esigenze di ruolo”. Per dare un segnale importante  per la ripresa, gli Uffici giudiziari hanno lo strumento che gli consente di evitare lunghi differimenti e, quindi, ben venga  disciplinare, con un decreto di urgenza, l’utilizzo in modo esteso dell’udienza figurata. In questo periodo emergenziale, nei termini stabiliti e in forma sperimentale,  gli avvocati, con il processo telematico, potrebbero svolgere pienamente le proprie funzioni  difensive(si pensi al deposito delle memorie istruttorie o alla precisazione delle conclusioni)e il Giudice assumere le decisioni richieste a mezzo della propria consolle con un corretto svolgimento della causa “in remoto” ma senza contemporaneità. Questa modalità,  applicabile soltanto ad alcune fasi del processo, e previo consenso  degli avvocati, va valutata e utilizzata in forma estesa, proprio per garantire un corretto e tempestivo svolgimento di quelle udienze nelle  quali, al contrario, è necessaria la coeva presenza degli avvocati. La prima udienza di comparizione, intesa come effettivo momento di confronto e le udienze istruttorie potrebbero, così essere trattate con maggiore tempo e cura, se fissate in orari rigidamente prestabiliti. Gli avvocati sono pronti ad accettare la sfida tecnologica che la situazione d’emergenza pone e a sperimentare un nuovo modello di processo civile  che restituisca alla difesa la sua centralità. E’ del tutto evidente che le soluzioni prospettate presuppongono una convinta e fattiva collaborazione dei magistrati e l’esistenza di efficienti presidi di cancelleria, il cui personale è stato decimato da politiche scellerate di tagli di spesa. Ma come insegna questa crisi, riusciremo a superare questo difficile momento solo con una forte capacità innovativa e il contributo di tutti.

Documento redatto dalla Rete di Professionisti

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In tema di sospensione del pagamento dei canoni di locazione al tempo del virus Covid-19

Ho il piacere di girarvi due articoli sul tema scritti da due avvocati che fanno parte della nostra Rete di Professionisti UnicaMente. Entrambi i lavori esaminano le norme codicistiche alla luce della recente normativa emergenziale e mentre l’avv. Giuseppe Sparano pone, principalmente, l’accento sugli aspetti sostanziali delle norme codicistiche, l’avv. Raimondo Nocerino sofferma la sua attenzione sulla rilevanza processuale delle norme contenute nel Decreto Legge n. 18 del 20 marzo 2020 – cd. Cura Italia -. Dalla lettura di questi due interessanti interventi emerge un bel confronto, ricco di stimolanti spunti di analisi.

Prima di lasciarvi alla lettura dei due articoli, mi permetto di dare un semplice suggerimento e di fare due brevi riflessioni. Il suggerimento riguarda i conduttori ai quali consiglio di inviare (a mezzo raccomandata anticipata via fax, messaggio di posta elettronica certificata, telegramma) una tempestiva comunicazione al locatore con la quale lo si avvisa dell’impossibilità sopravvenuta di utilizzare l’immobile, per causa a lui non imputabile, e nel contempo, si formula una richiesta di sospensione del pagamento del canone di locazione, per tutto il tempo in cui saranno in vigore le limitazioni di cui alla decretazione d’urgenza.

La prima riflessione riguarda la necessità che il Governo e il Parlamento intervengano con un provvedimento legislativo che, quantomeno, preveda agevolazioni fiscali anche nei casi in cui il contratto di locazione per uso diverso riguardi gli immobili di categoria A e non solo quelli di categoria C, come finora avviene.

La seconda riflessione è un invito alle parti a trovare una soluzione conciliativa secondo criteri di solidarietà e buona fede, ispirati prima che dal diritto, dal buon senso non essendo interesse.

Avv. Alessandro Senatore

Alessandro Senatore, nato a Napoli il 7 giugno 1959, avvocato patrocinante presso la Suprema Corte di Cassazione, si è laureato in giurisprudenza nel 1984.presso l’Università Federico II di Napoli
Nel 1988 ha fondato  lo Studio Legale Senatore che svolge la propria attività nel settore civile.
La sua solida formazione professionale, consolidata da una vasta esperienza nell’ambito del contenzioso, gli ha permesso di dedicarsi, con particolare attenzione, agli aspetti riguardanti la materia del diritto di famiglia e delle successioni.
Mediatore Sistemico Familiare presso l’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Relazionale Familiare (ISPPREF ) di Napoli è fautore della mediazione, come pratica efficace per la soluzione dei conflitti
Consigliere del Presidente dell’UIA (Unione Internazionale degli Avvocati) nel 2014/2015 è da anni componente della Commissione di Diritto Matrimoniale di questo importante organismo internazionale.

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Inadempimento e responsabilità nel decreto cura Italia. Avv. Raimondo Nocerino

Il Decreto Legge n. 18 del 20 marzo 2020 – cd. Cura Italia – “trapianta” la fenomenologia dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, della quale a più titoli esso si interessa, nella materia delle obbligazioni e del relativo adempimento. Ciò avviene, in particolare, attraverso la disposizione dell’art. 91 co. 1 del Decreto citato: disposizione che aggiunge infatti un comma 6 bis all’articolo 3 del decreto  legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13. Secondo la previsione normativa: “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Vi è stata, in prima battuta, la tentazione di leggere nella disposizione l’introduzione opelegis  di una sorta di “autotutela” del debitore, quasi che il contesto emergenziale che l’Italia – e la sua economia nazionale – vive sia in sé ragione sufficiente a “scriminare”, e sempre, il debitore inadempiente. Ancora, una ulteriore lettura della disposizione parrebbe ricondurre il suo contenuto precettivo all’istituto della impossibilità della prestazione, quale cristallizzato dall’art. 1256 c.c. Chi scrive è in disaccordo con entrambe le declinazioni ermeneutiche offerte, essendo viceversa persuaso che il legislatore d’urgenza abbia avuto  comunque un  –diverso – merito nell’introdurre il dettato normativo qui in considerazione. Chiarisco le conclusioni che ho succintamente anticipato, con alcune brevi argomentazioni. I) Anzitutto,  l’ambito oggettivo di applicazione della disposizione posta dall’art. 91 co. 1 del D.L. cit. è ben più ampio della materia contrattuale e, segnatamente, dei contratti a prestazioni corrispettive (1467 c.c.); la previsione normativa, come si è visto, si riferisce al “debitore” e cioè al soggetto passivo del rapporto obbligatorio, il quale ultimo, come è noto, non origina esclusivamente da contratto (art. 1173 c.c.).  Ora, questa precisazione preliminare non deve essere trascurata. Infatti,  l’impossibilità della prestazione è elevata dalla disciplina codicistica, rispettivamente, a causa estintiva della obbligazione (art. 1256 c.c.) e a ragione di risoluzione del contratto (art. 1463 c.c. e ss.). Sicché, apparirebbe quanto meno curioso che un intervento emergenziale – che si ispira, per definizione, alla necessità di superare le difficoltà del momento –  abbia inteso identificare la fenomenologia emergenziale in considerazione con una ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione: l’effetto che ne deriverebbe sarebbe, per i contratti, l’impossibilità per la controparte di richiedere la (contro) prestazione e l’obbligo di restituirla se già l’avesse ricevuta; in parole diverse, sarebbe stata introdotta una ulteriore causa legale estintiva/risolutiva. Le conseguenze pratiche di un tale ragionamento condurrebbero a ritenere, allora, che a) il conduttore inadempiente dovrebbe rilasciare l’immobile locato; b) il mutuatario inadempiente all’obbligo di pagare alcune rate dovrebbe restituire la somma mutuata. Un approdo draconiano del tipo di cui si è detto mi pare vada escluso, e, sul piano dei criteri ermeneutici che fondano l’attività interpretativa, è, a ben considerare, lo stesso art. 91 co. 1 cit. ad escluderlo; così, in particolare, quando – non casualmente – esso disposto non opera richiamo letterale all’art. 1256 c.c. (ovvero all’art. 1463 c.c.). Non  casualmente, appunto. La disposizione posta dall’art. 1256 c.c., del resto, tradizionalmente avvince la casistica della impossibilità fisica di esecuzione piuttosto che quella giuridica (Cass., sez. III, n. 26959/2007, richiamata più recentemente da Cass., sez. III, 29/03/2019, n.8766, riferisce il campo applicativo della disposizione codicistica al caso in cui “impossibile [è] l’esecuzione della prestazione del debitore”). Orbene, nel conduttore che, in ragione del contesto emergenziale, non adempia al pagamento dei canoni medio tempore dovuti non si registra alcuna impossibilità tecnica o esecutiva nell’adempimento. II) In senso diverso, l’art. 91 co. 1 cit. ha riguardo non all’adempimento della prestazione ma, propriamente, all’inadempimento di essa ed alla responsabilità che ne consegue (art. 1218). E, per questo, introduce, per così dire, un criterio (relativo) di esonero di responsabilità per l’inadempimento, il quale – è bene sottolinearlo – non dispiega (se verificato come ricorrente nel caso di specie) portata caducante di un più ampio rapporto nel quale la prestazione inadempiuta si innestasse. In estrema sintesi, l’art. 91 co. 1 cit. valorizza l’impossibilità soggettiva di adempiere ai soli fini della eventuale esclusione della affermazione della responsabilità da inadempimento del debitore ex art. 1218 c.c. Non si tratta di un semplice gioco di parole. Il legislatore (come visto), lungi dal tipizzare una causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione, ha, propriamente, tipizzato il perimetro  della valutazione giudiziale, la quale sarà chiamata a considerare il presupposto normativo (del “rispetto delle misure”) ex art. 91 cit. ai fini della affermazione della “non imputabilità dell’inadempimento” e, dunque, dell’esonero della responsabilità ex art. 1218 c.c.  III. Il criterio introdotto dall’art. 91 co.1, inoltre, è relativo in quanto  “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto” va sempre valutato (dal Giudice) ai fini della affermazione della responsabilità da inadempimento ovvero del suo esonero, ma non esonera esso stesso dalla responsabilità. Ciò significa, si ribadisce, che la disposizione non ha portata sostanziale, etero-regolando il rapporto debito-credito; si tratta, in sintesi, di una direttiva che il legislatore dell’emergenza impone al Giudicante in sede di eventuale controversia (o alle parti stesse in sede di ipotetica  prodromica negoziazione/mediazione). Si è al cospetto, ancora, di direttiva che è senz’altro obbligatoria per il Giudicante, fermo l’esito della “valutazione” che questi condurrà in concreto. Un tale valutazione, diversamente detto, potrà conchiudersi nel ritenere che il rispetto delle misure escluda, nel caso concreto, la responsabilità da inadempimento ovvero, ed all’opposto, nel senso che il rispetto di tali misure non valgano ad escludere la responsabilità in argomento.  In ultima analisi, in costanza di emergenza cd. coronavirus, il decreto legge si limita a chiarire che, ai fini dell’art. 1218 c.c., la non imputabilità dell’inadempimento dovrà essere apprezzata, caso per caso, alla luce del rispetto“delle misure di contenimento di cui presente decreto”. Il che, né più e né meno, significa imporre al Giudicante l’osservanza di una direttiva ermeneutica in sede di “concretizzazione” di una clausola generale (nella specie, art. 1218 c.c. in parte qua si legge “a lui non imputabile”).

Avv. Raimondo Nocerino

Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.

Dottore di ricerca.

Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.

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Effetti della pandemia sui contratti – tesi dell’unitarietà – Avv. Giuseppe Sparano

Sul noto presupposto dell’articolazione codicistica tra i Capi e le diverse Sezioni delle obbligazioni in generale (con le dicotomie e complementarietà ad es. degli l’artt.1176 e 1218 c.c.), resa ulteriormente complessa dagli indispensabili raffronti con la normativa concernente i contratti in generale e quelli singoli, l’attuale indagine si limita all’inadempimento (come vicenda dell’obbligazione) per verificarne le ipotesi e gli effetti della non imputabilità.
La dichiarata pandemia e i relativi provvedimenti legislativi adottati in Italia nell’ultimo periodo sono da qualificarsi come factum principis caratterizzato da essere un evento:
– estraneo alla sfera di controllo del contraente
– inevitabile (trattasi di provvedimenti a tutela della collettività ed il singolo, pur avendone teoricamente facoltà, ha un interesse inesistente o alquanto affievolito ad impugnarli).
La potestà legislativa che ha consentito anche soltanto alcuni specifici intervenuti sui contratti di lavoro (Titolo II D.L. 18/2020 Misure a sostegno del lavoro – artt.20 e ss. attribuendo in particolare anche la specifica codifica causale ex art.8 DM 9544/2016), sui contratti di patrocinio legale (Titolo V Ulteriori misure – art.83 e ss. sospensione delle udienze/procedimenti), su contratti di soggiorno e di acquisto di titoli di accesso a spettacoli di qualsiasi natura (art.88) e su alcuni contratti di appalto pubblico (art.91 col quale è aggiunge il comma 6 bis all’art.3 del DL 6/2020 convertito con modificazioni con Legge 13/2020) è, a mio avviso, sufficiente affinché sul piano giuridico ciò debba necessariamente valere per tutti i contratti.
In ogni contesto in cui l’adempimento o meglio l’inadempimento è in stretto rapporto causale con la legislazione limitativa ricorre l’esimente. Le regole codicistiche sono generali e i principi di coerenza giuridica e di equanimità prevedono che una volta applicate anche soltanto ad alcune delle predette fattispecie devono riguardare l’intero sistema: se il presupposto dell’impossibilità sopravvenuta è il medesimo anche gli effetti lo devono essere.
Al contempo il predetto evento esimente deve essere in rapporto causale con l’effettiva impossibilità di adempiere.
Il principale ambito di intervento della decretazione d’urgenza è l’inibizione per legge di un corposo numero di attività produttive al quale si aggiunge quella degli spostamenti sul territorio (riguardante prevalentemente le attività di trasporti anche se di minore impatto stante la deroga per conclamata necessità).
La complessiva entità dei molteplici contratti di ogni singola attività produttiva forzatamente impedita dalla decretazione, a mio avviso, subisce la modifica del sinallagma e dei reciproci obblighi dei contraenti con i relativi effetti da valutare, a seconda dei casi, a mezzo delle regole codicistiche e di eventuali contrattualizzate clausole in caso di pandemia.
La disamina di alcune ipotesi concrete da per presupposto che l’indagine concerne quei contratti i cui termini per l’adempimento non è ancora scaduto (o scaduto nelle more della decretazione) e di quelli ad esecuzione continuata o periodica.
Nei contratti di fornitura in cui la merce non è stata consegnata, l’acquirente al quale è stata impedita l’attività ha il diritto a far valere la cessazione dell’interesse alla merce rispetto al venditore che ne attende il pagamento.
A mio avviso ricorre l’impossibilità sopravvenuta stante il diretto rapporto causale con l’esimente: l’acquisto è funzionale all’attività. Le conseguenze sono il diritto di non adempiere ed evitare la consegna senza ulteriori aggravi. Similare situazione è quella in cui la merce sia stata già consegnata con il diritto a poterla restituirla senza adempiere al pagamento. In entrambi i casi gli effetti sono l’estinzione delle reciproche obbligazioni ai sensi dell’art.1256 c.c. E’ ipotizzabile che ciò valga per l’intera filiera anche a monte del fornitore per i contratti di approvvigionamento della materia prima e così via, con i dovuti discrimini per il permanere del necessario rapporto causale nella sua continuità.
Tra i contratti a prestazione continuata, le obbligazioni concernenti le locazioni subiscono, a mio avviso, similari conseguenze. Al contempo ricorre la peculiare previsione dell’art.1467 c.c. che consente anche la modifica concordata delle condizioni del contratto (l’ipotesi codicistica di “avvenimenti straordinari ed imprevedibili” possono ricondursi alla descritta medesima impossibilità sopravvenuta). Il conduttore la cui attività produttiva è stata impedita dalla decretazione d’urgenza ha il diritto di ritardare il pagamento dei canoni e/o di concordarne di diversi.
Per i contratti di patrocinio legale la prestazione è anch’essa impedita e ciò vale quale esimente da imputazioni di inadempimento. Al contempo, come in molteplici altri rapporti contrattuali, l’impossibilità è temporanea e gli effetti sono sia quelli stabiliti dal citato art.1467 c.c. e sia dall’art.1256, co.2 c.c.. Ai contraenti è rimessa la valutazione sul titolo dell’obbligazione e sulla natura dell’oggetto: ad esempio il cliente, quale creditore della prestazione, può dichiarare di non averne più interesse con estinzione dell’obbligazione, oppure il legale, per il perdurare dell’impossibilità può ritenere di non poter più espletare l’incarico ed anche in tal caso ricorre l’estinzione.
L’interesse delle parti alla prosecuzione o all’estinzione del contratto è coerente alla peculiare ipotesi di impossibilità sopravvenuta di carattere non definitivo (come invece
fu ad es. il divieto di meretricio imposto nel 1956 dalla cd legge Merli o i divieti a contrarre disposti dalle leggi razziali del 1939 in danno dei cittadini qualificati di “razza ebrea”). La temporaneità è inoltre per un periodo di tempo indeterminato (corrispondente a quanto durerà l’emergenza e sino a quando non verranno revocati i provvedimenti assunti) con un precedente rinvenibile nella legislazione speciale sugli ammassi agricoli del 1939, rimasta in vigore ben oltre la conclusione del secondo conflitto mondiale.
Avv. Giuseppe Sparano
Dottore di ricerca
Università Federico II Napoli

Avv. Giuseppe Sparano, nato a Napoli il 18.2.1965

Laureato nel 1987 con lode, presso l’Università Federico II di Napoli
Iscritto all’Albo degli Avvocati di Napoli dal 22.2.1991 -patrocinio presso le Corte Superiori.
Dottore di ricerca in Diritto delle Imprese in crisi –  Università Federico II di Napoli
Docente di Diritto Commerciale corso in “Diritto dei contratti d’impresa” nelle Scuole di Specializzazione delle Professioni Università Federico II di Napoli e Università Vanvitelli (già  Seconda Università di Napoli).
Presidente dei Collegio dei probiviri della Camera degli Avvocati Civili di Napoli (già segretario e tesoriere).

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Mantenimento e spese straordinarie per i figli: le Linee Guida

Le Linee Guida del CNF e della Corte di Appello di Milano in materia di spese straordinarie. La fine di un conflitto?

Con la riforma del titolo IX capi I e II del primo libro del Codice Civile, il legislatore italiano è intervenuto nel modificare la materia dei rapporti di filiazione cancellando la figura del genitore affidatario in via esclusiva ed introducendo il principio della natura “meramente perequativa” dell’assegno di mantenimento, allo scopo di garantire la c.d. bigenitorialità posta a base dell’affidamento condiviso. Un aspetto che da sempre è stata foriero di discussioni giurisprudenziali e motivo di conflitto tra i coniugi è la questione relativa alle spese di mantenimento ordinario e straordinario, riguardo alla natura delle stesse ed alle modalità dell’esborso.

Ed è all’interno di tale diatriba che si inserisce il documento elaborato da CNF, così come quello della Corte d’Appello di Milano, con i quali si è cercato di fare chiarezza e di tracciare delle linee guida, appunto, per gli operatori del diritto coinvolti nelle vicende che seguono la crisi di un rapporto familiare.

Punto di riferimento imprescindibile sono gli  artt. 316 bis e 337 ter del Codice Civile che pongono come prioritario il perseguimento del benessere della prole minore o non autosufficiente.

Dunque, come noto, oltre alle spese ordinarie che attengono alla gestione quotidiana gestione dei compiti di cura, educazione e istruzione, va sempre affiancata la previsione di un’equa ripartizione delle spese straordinarie.

Queste ultime, solitamente, presuppongono un esborso più ingente rispetto all’assegno di mantenimento omnicomprensivo delle spese ordinarie e dunque, nel momento il cui il giudice ne determina la misura della contribuzione, è tenuto ad applicare il principio della natura perequativa dell’assegno di mantenimento ex art. 337 ter, IV comma c.c. in forza del quale ciascun genitore partecipi al mantenimento dei figli ed i genitori in modo proporzionale alle proprie risorse.

In merito all’obbligo di contribuzione il documento della Corte d’Appello di Milano assume una posizione più esplicita, affermando “il potere – dovere del genitore di cura degli interessi del figlio, contribuendo economicamente alla sua protezione, educazione ed istruzione, in continuità con quanto già accadeva prima della crisi familiare”.

Dunque, la contribuzione alle spese per le esigenze ordinarie della vita del minore (vitto giornaliero, mensa scolastico, canone di locazione, utenze e consumi, abbigliamento ordinario, compresi cambi di stagione, per la cancelleria scolastica ricorrenti nell’anno e l’acquisto di medicinali) si realizza mediante il versamento dell’assegno di mantenimento al genitore collocatario.

Mentre i versamenti aggiuntivi per le spese straordinarie si distinguono in diverse tipologie a seconda che siano “obbligatorie” – ossia quelle per le quali non è richiesta una previa concertazione – e quelle che sono subordinate al consenso di entrambi i genitori.

In via generale, nella giurisprudenza di legittimità si è consolidato il principio per cui non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e concertazione preventiva con l’altro in ordine alla determinazione delle spese ordinarie, trattandosi di decisione di maggiore interesse per il figlio. A ciò consegue, pertanto, che sussiste a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso.

Nelle ipotesi di mancata concertazione preventiva o successivo rifiuto al rimborso per la propria parte, spetta al giudice verificare se la spesa è stata effettuata nell’interesse del figlio ed alla successiva commisurazione rispetto alla utilità e sostenibilità della stessa in relazione alle condizioni economiche dei genitori.

L’importanza delle Linee Guida sta nell’aver definito preventivamente la natura delle spese extra sulla scorta di quanto canonizzato dalla giurisprudenza.

La Corte d’Appello di Milano, inoltre, individua un principio più generale per cui le spese extra sono tutte quelle che presentano almeno uno dei tre requisiti: voluttuarie (dato funzionale), occasionali (dato temporale) o gravose (dato quantitativo). Ulteriore requisito è che siano debitamente documentate.

A questo punto, si distinguono:

  • Le spese extra assegno obbligatorie, per le quali non è richiesta la previa concertazione e vengono individuate in: libri scolastici, spese sanitarie urgenti, spese per interventi chirurgici indifferibili sia presso strutture pubbliche che private, acquisto di farmaci prescritti ad eccezione di quelli da banco, spese ortodontiche, oculistiche e sanitarie effettuate tramite il SSN in difetto di accordo sulla terapia con specialista privato, spese protesistiche, spese di bollo ed assicurazione per il mezzo di trasporto quando acquistato con l’accordo di entrambi i genitori.
  • Le spese extra assegno, subordinate al consenso di entrambi i genitori: 1) scolastiche: iscrizioni e rette di scuole private, iscrizioni, spese ed eventuali spese alloggiative, ove fuori sede, di università pubbliche e private, ripetizioni, frequenza del conservatorio o scuole formative, spese per la preparazione di esami di abilitazione o alla preparazione di concorsi, viaggi di istruzione organizzati dalla scuola, soggiorni all’estero per motivi di studio, corsi di apprendimento per le lingue straniere (…); 2) spese di natura ludica o parascolastica: centri estivi, corsi di informatica, viaggi di istruzione, vacanze trascorse autonomamente senza i genitori, spese di acquisto e manutenzione straordinaria di mezzi di trasporto, conseguimento della patente presso autoscuola private; 3) spese sportive: attività sportiva comprensiva dell’attrezzatura e di quanto necessario per lo svolgimento dell’eventuale attività agonistica; 4) spese medico sanitarie: spese per interventi chirurgici, spese odontoiatriche, oculistiche e sanitarie non effettuate tramite SSN, spese mediche e di degenza per interventi presso strutture pubbliche o private convenzionate, esami diagnostici, analisi cliniche, visite specialistiche, cicli di psicoterapia e logopedia; 5) organizzazione di ricevimenti, celebrazione e festeggiamenti dedicati ai figli.

Il CNF ha, infine, stabilito che per le spese straordinarie per le quali è prevista la concertazione, il genitore manifesta la propria volontà con formale richiesta scritta avanzata all’altro (a mezzo sms, email, fax, pec, ecc…) che, a sua volta, dovrà manifestare un motivato dissenso, sempre per iscritto, entro venti giorni dalla data di ricevimento della richiesta in quanto, in caso di mancata risposta, il silenzio viene considerato come consenso. Per ottenere il rimborso della quota il genitore che ha anticipato la spesa è tenuto ad esibire e consegnare idonea documentazione entro un mese dalle stesse mentre il genitore che è tenuto al rimborso deve provvedere entro un mese dalla richiesta.

Alessandro Senatore, nato a Napoli il 7 giugno 1959, avvocato patrocinante presso la Suprema Corte di Cassazione, si è laureato in giurisprudenza nel 1984.presso l’Università Federico II di Napoli
Nel 1988 ha fondato  lo Studio Legale Senatore che svolge la propria attività nel settore civile.
La sua solida formazione professionale, consolidata da una vasta esperienza nell’ambito del contenzioso, gli ha permesso di dedicarsi, con particolare attenzione, agli aspetti riguardanti la materia del diritto di famiglia e delle successioni
Mediatore Sistemico Familiare presso l’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Relazionale Familiare (ISPPREF ) di Napoli è fautore della mediazione, come pratica efficace per la soluzione dei conflitti
Consigliere del Presidente dell’UIA (Unione Internazionale degli Avvocati) nel 2014/2015 è da anni componente della Commissione di Diritto Matrimoniale di questo importante organismo internazionale.

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Il diritto della Unione Europea nei rapporti di agenzia

Il contratto di agenzia in Europa: affinchè gli agenti e rappresentanti ne sappiano l’influenza.

 

Incentreremo l’attenzione sulla materia dell’agenzia come trattata nel diritto e nella giurisprudenza comunitari.

L’agenzia, come sapete, è quel contratto, di cui il nostro codice civile si interessa negli articoli dal 1742 al 1751bis e che riguarda la figura d’un particolare tipo di lavoratore, che la dottrina ha definito parasubordinato, perché dotato di autonomia organizzativa e non sottoposto a potestà disciplinare cogente, ma che, pur tuttavia, ha un rapporto coordinato, continuativo e stabile con un mandante (ciò che lo distingue dal procacciatore d’affari,  che lo ha discontinuo ed occasionale).

L’agente di commercio assume, verso retribuzione, in genere provvigionale, l’incarico di promuovere affari per la propria azienda preponente, in una zona determinata.

Solo quando vi è  il potere anche di concludere i contratti impegnando la propria mandante (ciò che avviene di rado) si ha invece la figura del rappresentante di commercio. Quando sentiamo, nel comune parlare, di rapporti di rappresentanza, noi addetti ai lavori, dobbiamo sapere, quindi, che, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta, in effetti, di rapporti di agenzia.

A conferma della posizione peculiare dell’agente di commercio ( e ovviamente anche del rappresentante di commercio) v’è la previsione contenuta, nel ns. codice civile procedurale civile, all’art. 409, della devoluzione al Giudice specializzato del Lavoro delle controversie che li riguardano, ovviamente allorquando essi non siano costituiti in forma societaria.

Anche il legislatore comunitario si è interessato di disciplinare, tra gli altri rapporti di lavoro, quello dellagenzia.

Il 18 dicembre 1986 il Consiglio della Comunità Europee emanò difatti la Direttiva 653/86, la quale fissa anche dei presupposti, necessari per la liquidazione della indennità alla cessazione del rapporto agenziale, in essa prevista.

Nei nostri AEC, per le indennità lì previste, v’è da dire che tali presupposti non sono previsti e quindi vedremo che, almeno in subordine, la nostra fonte contrattualistica collettiva resta in vigore quando non vi siano i presupposti di cui ho appena accennato, per il riconoscimento della invero spesso migliore indennità di derivazione comunitaria.

La direttiva venne emanata, in effetti, per armonizzare i sistemi normativi europei e per creare un sistema di principi uniformi (il cosiddetto “ tronco comune”, termine che si sente spesso discettando di diritto comunitario), volto ad incentivare le relazioni tra agenti e preponenti appartenenti a paesi diversi.

L’obiettivo dichiarato era, inoltre, quello di garantire all’agente, all’atto della cessazione del rapporto, una indennità certa (ovvero, secondo alcuni che ritengono l’emolumento in questione di natura risarcitoria, che sono in minoranza, la riparazione del danno subìto in conseguenza del venir meno del rapporto di lavoro per disdetta o per colpa del mandante.

Il legislatore comunitario si è avvalso dello strumento normativo della Direttiva, obbligando pertanto gli stati membri ad adottare le misure necessarie a garantire all’agente la corresponsione di siffatta indennità, lasciando però la possibilità agli Stati membri, in sede di recepimento della Direttiva, di optare per due sistemi alternativi: il modello compensativo ovvero quello risarcitorio di cui dicevo prima, mutuati, rispettivamente, dai sistemi tedesco e francese.

La direttiva prevede, in particolare che Gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire all’agente commerciale, dopo l’estinzione del contratto, un’indennità in applicazione del paragrafo 2 o la riparazione del danno subito in applicazione del paragrafo 3”.

V’è da dire che l’esigenza del legislatore comunitario di disciplinare la materia era  sentita e pressante anche perché non tutti gli stati membri avevano una compiuta disciplina in materia di indennità agenziali vuoi sotto il profilo legislativo (e più strettamente codicistico) che, soprattutto, della contrattualistica collettiva.

V’è da dire che l’Italia, in verità, al riguardo già faceva un figurone sia sotto un profilo (quello legislativo) che sotto l’altro (della contrattualistica collettiva).

Quanto all’ultimo perché la rappresentatività sindacale nel ns. paese era molto sentita

Peraltro gli AEC per gli agenti di commercio esistevano già dal primo  trentennio del secolo scorso e il primo accordo del 1935, nel 1938 era stato addirittura reso valido erga omnes e quindi con efficacia di  legge, con regio provvedimento legislativo.

Ciò a conferma dell’ottimo impianto del nostro Ordinamento, rispettoso  degli insegnamenti del Diritto  romano, che faremo bene a seguire ancora pur senza chiuderci nell’esaminare ed a compararci anche con altre tradizioni giuridiche.

Sull’efficacia delle Direttive Comunitarie vi hanno detto e vi diranno altri ben più qualificati relatori e ci limiteremo qui, quindi, a ricordarne la caratteristica saliente di fonte cosiddetta verticale:

“le direttive, che hanno come destinatari i singoli Stati membri, vincolano ciascuno di essi solo per quanto riguarda il risultato finale da raggiungere, che deve esserle conforme. Impongono un’obbligazione di risultato, lasciando liberi, però,  gli Stati di adottare le misure ritenute opportune al fine dell’armonizzazione al tronco comune fissato dalla direttiva. Esse hanno un’efficacia mediata nel senso che creano diritti ed obblighi per i singoli soltanto in seguito all’adozione da parte dei singoli Stati membri degli atti con cui vengono recepite. Ma il Giudice nazionale, come poi ripeteremo, in caso di confliggenza, deve disapplicare la norma nazionale a favore della fonte comunitaria. Qualora, poi,  uno Stato non dovesse adeguarsi alle prescrizioni di una determinata direttiva, esso sarà inadempiente e costretto, quindi, a pagare una sanzione per avere violato gli obblighi comunitari e il singolo non potrebbe che solo stimolare la stigmatizzazione e la sanzione nei confronti dello Stato che non abbia recepito le direttive”.

La Direttiva era quindi lo strumento comunitario da utilizzare da parte del legislatore comunitario per fare quello che voleva fare qui e che abbiamo detto poco fa e cioè per armonizzare e per stabilire una volta per tutte il “tronco comune” di cui abbiamo detto più volte, per gli ordinamenti di tutti gli Stati membri, che statuisse un’indennità a favore degli agenti di commercio alla fine del rapporto quando disdetto dalla preponente.

C’è da dire più specificamente e chiaramente che addirittura, prima della Direttiva, non in tutti gli Stati membri era addirittura prevista una indennità.

In Italia abbiamo detto che era prevista.

Pertanto il recepimento della Direttiva 653/86 nel nostro ordinamento non avrebbe dovuto causare grossi mutamenti nella disciplina indennitaria per gli agenti di commercio, in quanto appunto già erano previste le indennità  nel ns. c.c. e negli A.E.C. anche se questi ultimi non validi però erga omnes nelle numerose elaborazioni successive al 1935/1938., quand’anche sempre di largo utilizzo in giurisprudenza.

Invece, come approfondiremo appresso, i problemi principali (anche se non esclusivi) sono poi sorti al riguardo della misura dell’indennità, che era ciò che l’Italia doveva adattare, col recepimento della Direttiva, nel proprio ordinamento e sono stati problemi, per dipanare i quali è occorso, addirittura, un ventennio.

La Direttiva è intitolata: Direttiva del Consiglio relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti (Pubblic. in G.U.  31/12/86 n. 382 )

Il Consiglio delle Comunità Europee, vista  la interinale soppressione delle restrizioni alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi e in particolare per le attività degli intermediari del commercio, dell’industria e dell’artigianato, considerando che le differenze tra le legislazioni nazionali in materia di rappresentanza commerciale che influenzavano sensibilmente, all’interno della Comunità, le condizioni di concorrenza e l’esercizio della professione potevano pregiudicare il livello di protezione degli agenti commerciali nelle loro relazioni con il loro preponente, considerando che gli scambi di merci tra Stati membri dovevano (e devono) effettuarsi in condizioni analoghe, come quelle di un mercato unico, imponendosi così il ravvicinamento dei sistemi giuridici degli Stati membri, concedendo termini transitori supplementari a taluni Stati membri per compiere gli sforzi per adeguare le loro regolamentazioni alle esigenze della Direttiva, in particolare per quanto riguarda l’indennità di fine rapporto, adottò la Direttiva, che, per quel che qui ora ci riguarda, è particolarmente rilevante al suo art. 17, le altre parti limitandosi principalmente a definire l’attività dell’agente, i suoi obblighi, gli obblighi del preponente e cosi via.

Detto art. 17 stabilisce tra l’altro che:

a) L’agente commerciale ha diritto ad un’indennità se e nella misura in cui:
– abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
– il pagamento dell’indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

b) L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente commerciale negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.

L’art. 19 prescrive poi che:

Le parti non possono derogare, prima della scadenza del contratto, agli articoli 17 e 18 a detrimento dell’agente commerciale.

Seguono altre norme che qui, per limitatezza di tempo, non esaminiamo.

**********************************

Il nostro ordinamento recepì, perché doveva recepirla, la Direttiva, coi decreti legislativi 303/’91, quindi già un po’ lentamente e precisamente dopo circa cinque anni e poi con il correttivo decr. legislat. 65/’99, modificando gli artt. 1742 e segg. del c.c., che, abbiamo detto, sono quelli che si occupano dell’agenzia, introducendo per l’agente meritevole (quello, come abbiamo visto, che avesse incrementato il numero dei clienti o il volume degli affari, a condizione d’un permanente vantaggio del preponente), una indennità parametrata, nel suo massimo, alla media annua provv.le degli ultimi cinque anni del rapporto o del minor tempo della sua durata.

Veniva quindi, con la Direttiva, introdotto per la prima volta un criterio meritocratico, che porta taluni a definirla impropriamente “indennità meritocratica” quando, non ancor più banalmente, “indennità europea”.

Il range dell’indennità parte da zero. Quindi da zero alla media annuale degli ultimi 5 anni.

Per il riconoscimento dell’indennità e per la sua quantificazione, entro questo range, la Direttiva introduce anche il criterio dell’equità. Il  suo  riconoscimento  deve  esser  equo.

Il concetto di equità è un po’ nebuloso, a noi italiani, ci appare astratto, soggettivo, quando non arbitrario.

Si pensi a come poteva apparirci nel 1986.

Altri stati membri ne avevano e ne hanno maggior dimestichezza.

Abbiamo, quindi, dovuto fare uno sforzo per metabolizzarlo almeno un po’.

La Germania, poi, relativamente alla quantificazione dell’indennità adottò criteri tanto rigidi quanto complessi e basati su calcoli aritmetici (durata del mandato, numero di clienti e di affari incrementati, aliquota del mantenimento di tali miglioramenti da parte della mandante dopo la fine del rapporto, ecc.).

In Italia decide il Giudice senza eccessi di rigidità matematica, ma indubbiamente i riferimenti “tedeschi” vengono tenuti in genere in conto sia pure se elasticamente e non uniformemente.

Ho accennato già di un secondo nostro decreto legislativo, il n° 65/’99.

L’Italia difatti subì un procedimento di infrazione per non aver correttamente recepito la Direttiva nella parte in cui i requisiti di incremento della clientela o degli affari e il mantenimento dei vantaggi della preponente era stato previsto come alternativo invece che cumulativo, come era invece previsto  nella Direttiva.

Solo per il recepimento corretto ed esaustivo quindi, come si vede, passarono tredici anni.

In questo lasso di tempo la Giurisprudenza è stata ondivaga tra l’applicazione dell’indennità prevista dalla Direttiva che chiamiamo solo per un attimo qui meritocratica, per intenderci facilmente e quelle (codicistiche e contrattualistica collettiva) previste ante la direttiva.

Intervenne poi un accordo sindacale cosiddetto “ponte” nel 1992, che, in pratica, eludeva la Direttiva sostenendosi, in esso, che il sistema indennitario previsto della contrattualistica collettiva vigente (principalmente riconducibile ad una indennità lì nominata esattamente indennità suppletiva di clientela) già soddisfaceva i criteri fissati dal recepimento in Italia della Direttiva.

La cosa non era affatto vera, perché pressochè in nessun caso o comunque in rari casi, l’indennità suppletiva di clientela raggiunge il tetto massimo di quella prevista nella Direttiva e quindi nel novellato (dai decreti legislativi del 91 e del 99) art. 1751 c.c. che è l’articolo che tratta appunto dell’argomento). Perché, inoltre, la parametrazione dell’indennità prevista della contrattualistica collettiva (una percentuale, peraltro bassa, sulle provvigioni) è del tutto diversa in quanto, invece, il legislativo comunitario primo e quello nazionale poi, la avevano individuata, in una media provv.le annua (quindi non semplicemente in una percentuale sulla provvigione).

In tal stato di assoluta incertezza giurisprudenziale si è andati avanti sino al 2004.

La giurisprudenza che propendeva per la disapplicazione delle indennità introdotta dalla Direttiva ne sosteneva il minor vantaggio in astratto per tutto il ceto degli agenti, alcuni dei quali non erano nelle condizioni di beneficiare dell’indennità detta meritocratica per assenza o difficoltà di prova dei requisiti di merito e di vantaggio per la preponente e quindi un’indennità, quale quella prevista dagli accordi economici, che era come suol dirsi “automatica alla disdetta della preponente” senza bisogno d’altro, sarebbe stato più conveniente.

Altra considerazione era che in Italia la rappresentatività dei sindacati era molto elevata e quindi i contratti collettivi dovevano esser quelli da tenere a riferimento.

Venivano in pratica ritenuti prevalenti sulle norme di rango primario, anche in caso di minor vantaggio in concreto!

Una alchimia di pensiero che i più hanno sempre fatto fatica a comprendere.

Tale orientamento, difatti, sarebbe stato plausibile,  solo se in concreto e non in astratto, cioè in tutti singoli casi specifici, i contratti collettivi avessero previsto una disciplina in melius per ogni agente, insomma se l’agente, con l’indennità suppletiva di clientela prevista dagli accordi economici, avrebbe visto  riconosciuto almeno il massimo o più del massimo previsto dalla Direttiva. Quest’ultima ed i suoi recepimenti nel nostro ordinamento d’altronde prevedevano specificamente l’inderogabilità a svantaggio dell’agente dell’indennità riconosciuta dalla Comunità Europea col criterio meritocratico.

Orbene, già prima del primo recepimento del 1991 col decr. legislativo 303 e quindi tra la data di entrata in vigore della Direttiva (1986) e per i cinque anni successivi, il Giudice, nel contrasto tra la norma nazionale e quella comunitaria, avrebbe dovuto, come abbiamo detto, disapplicare la prima e applicare la seconda quale norma “verticale” .

Figurarsi dopo il recepimento di quest’ultima!

Eppure non sempre fu così, anzi!

Ciò fa comprendere come non sia stato sempre facile e come non sia stato certo immediata, la metabolizzazione, come già dicevo, delle norme comunitarie nei vari stati membri e in particolare in Italia laddove anche i giudici nazionali spesso sono stati tempestivi nell’applicarla.

E’ stata necessaria allora, in subiecta materia, una questione pregiudiziale che la Corte di Cassaz., appunto nel 2004, pose alla Corte di Giustizia Europea con la sua ordinanza n° 20410 nella causa DE ZOTTI contro HONEYWEM informaz.ni comm.li.

Dell’agenzia, quindi, s’è interessato non solo il legislatore, ma anche il Giudice comunitario.

Il 23 Marzo 2006, a vent’anni come vi ho detto all’esordio di questo intervento, dall’entrata in vigore della Direttiva, la Corte del Lussemburgo, emetteva difatti la sentenza 465 C 04, conforme alla relazione del Procuratore Generale, che era il portoghese POJARES MADURO.

Il contenuto era del tenore, invero già ovvio ai più, che in tutti quei casi in cui il calcolo secondo il criterio meritocratico fissato dalla Direttiva può esser  applicabile, per l’esistenza dei requisiti di merito dell’agente e per il persistente vantaggio del preponente e porti ad un risultato migliore in concreto, nel singolo caso in esame, di quello previsto da qualsiasi altra fonte di diritto degli stati membri, anche di quello eventualmente degli A.E.C. , va preso in considerazione il trattamento migliore.

Subito dopo, il 3 Ottobre 2006, con la sentenza n° 21309,  la nostra Corte di Cassazione recepì l’indirizzo fissato della Corte Lussemberghese ed oggi finalmente nessun Giudice italiano sostiene più la questione dell’esame in astratto e non in concreto.

Per la verità già prima la Corte di Giustizia Europea si era interessata della materia dell’agenzia, anche se non in materia di indennità di fine rapporto, ma riguardo ad altra non meno importante questione, sempre riguardo alla Direttiva 653/86.

Era avvenuto con la sentenza del 30 aprile 1998 nella causa BALLONE contro YOKOHAMA, la ditta orientale produttrice di pneumetici.

In questo caso la Corte Europea era stata tirata in ballo da una questione pregiudiziale non postale dal Giudice nazionale di nomofiliachia, cioè dalla Cassazione, bensì da un giudice di merito, il Tribunale di Bologna.

Non sfuggirà allora come importante può essere che gli avvocati stimolino i Giudici nazionali a porre questioni pregiudiziali, quando ne ricorre il caso.

La vicenda qui riguardava una agente, la Sig.ra BALLONE, la quale richiedeva i diritti retributivi agenziali dalla Società YOKOHAMA nonostante l’eccezione di nullità del suo mandato svolta da quest’ultima (che pure lo aveva stipulato), per carenza del requisito soggettivo della Sig.ra BALLONE per non essere la stessa iscritta all’albo degli agenti, iscrizione prevista come obbligatoria dalla legge del nostro Stato n° 204/’85.

Sapete bene che uno dei principi informatori del legislatore comunitario è la libertà di stabilimento e di esercizio delle proprie attività in ambito comunitario e quindi di liberalizzazione dell’attività con l’ostativa, quindi, per quanto possibile, alle  restrizioni in ambito lavorativo prevista da norme degli stati membri a mezzo degli albi.

Orbene la Direttiva 653/86, che come abbiamo potuto notare, è la pietra miliare nella elaborazione della figura dell’agente e del rappresentante di commercio europeo, non prevedeva e non prevede quale requisito necessario ed indispensabile per poter esercitare l’attività di agente, quello dell’iscrizione ad uno specifico albo.

La pronuncia del Lussemburgo fu coerente a ciò e, anche in questo caso, dopo della sentenza BALLONE / YOKOHAMA e assolutamente non prima, i Giudici nazionali hanno recepito il principio comunitario in questione scandito dalla Direttiva che per esercitare l’attività di agente di commercio, non è necessaria l’iscrizione all’albo prevista dalla legge 204/85.

Pensate che, prima di ciò, l’agente non iscritto all’albo, veniva definito abusivo e, se conveniva in giudizio la sua preponente, vedeva respinta la sua domanda non solo al riguardo di indennità di fine rapporto, ma anche per le provvigioni maturate a seguito del suo lavoro di procacciamento d’affari, in quanto la sua attività veniva considerata come svolta illegittimamente.

Ciò che appare ancora più paradossale è che la legge 204 del 1985, che prevedeva l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo, non solo non fu oggetto di modifica con l’abolizione di tal obbligo di iscrizione, come doveva avvenire l’anno dopo della sua emanazione del 1985 e, quindi nel 1986, a seguito dell’entrata in vigore della Direttiva 653/86 che non la prevedeva, ma neppure a seguito della sentenza della Corte Europea del ‘98!

E’ stato mantenuto in essere l’obbligo di iscrizione nell’albo, ormai non più efficace, per esigenze tutto sommato inspiegabili o, semplicemente, per la cronica  lentezza del legislatore quando non vi è grosso interesse di legiferare velocemente.

I fautori del mantenimento della norma invero presero pure a giustificarla con la considerazione che la stessa potesse ancora valere sotto il profilo amministrativo.

Pensate allora che solo il decreto legislativo del 26/03/2010,  n. 59 (in recepimento invero anche della Direttiva Servizi CE 123/06) ha soppresso, con decorrenza dal giorno 8 maggio 2010, il ruolo oltre che degli agenti di affari in mediazione anche del ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio.

Il suddetto decreto non ha abrogato peraltro le altre norme che disciplinano le attività in questione.

In particolare l’esercizio delle suddette attività rimane subordinato alla sussistenza di requisiti normativamente previsti.

Solo per gli agenti e rappresentanti di commercio sono state comunque apportate alcune modifiche alla normativa di settore.

In particolare, sono stati, come si diceva,  abrogati i requisiti di cui alle lettere a), b), e d) della L. 204/1985.

I requisiti mantenuti sono:

  • La cittadinanza italiana o di uno degli stati UE ovvero la residenza nel territorio italiano per gli stranieri;
  • Il godimento dei diritti civili;
  • L’assolvimento dell’obbligo scolastico con conseguimento del relativo titolo.

Inoltre, solo per gli agenti e rappresentanti di commercio, il fallimento non è più considerato ostativo all’esercizio dell’attività.

Le attività di mediatore e agente e rappresentante di commercio restano attualmente soggette, quindi, semplicemente a segnalazione certificata di inizio attività – la cosiddetta SCIA (in sostituzione della precedente dichiarazione di inizio attività) da presentare alla Camera di Commercio, corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti.

La Camera di Commercio verifica il possesso dei requisiti e iscrive i relativi dati nel registro delle imprese e nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA).

Ad ogni effetto di legge, i richiami al ruolo contenuti nella normativa di settore si intendono solo riferiti alle iscrizioni previste nel registro delle imprese e nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA).

****************************

Da ultimo evidenziamo che pure in altre occasioni la Corte di Giustizia Europea si è interessata di agenzia, come nella recente Sentenza 31.10.2010, che ha statuito che l’agente ha diritto all’indennità ex Direttiva 653/86 se un suo inadempimento anche grave è avvenuto dopo il recesso fosse anche in costanza del periodo di preavviso.
La sentenza della Corte è quella resa nel proc.nto C‑203/09 ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, dall’Autorità Giudiziaria Tedesca in data  29 aprile 2009, nella causa tra la  VOLVO e la sua concessionaria AWG
La Corte (Prima Sezione), era presieduta  tra l’altro, dal napoletano Prof. TIZZANO.
La domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione dell’art. 18, lett. a), della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti (GU L 382, pag. 17; in prosieguo: la «direttiva»).
L’art. 18 della direttiva prescrive tra l’altro che:
«L’indennità o la riparazione ai sensi dell’articolo 17 (che è quella indennità a contenuto meritocratico di cui abbiamo detto) non sono dovute:
a) quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente commerciale, la quale giustifichi, in virtù della legislazione nazionale, la risoluzione immediata del contratto;
La disposizione era stata ovviamente recepita dall’ordinamento tedesco.

Nel caso di specie la VOLVO Germany aveva rescisso il mandato concedendo il preavviso alla propria agente , poi si era accorta che durante il periodo di preavviso quest’ultima aveva tenuto un comportamento di tal gravità da giustificare a suo avviso,  il recesso senza preavviso, per giusta causa.

La Direttiva però cristallizza al momento della comunicazione di recesso l’imputazione di giusta causa non prevedendo l’ipotesi sottoposta alla Corte del Lussemburgo di successiva imputazione fosse anche dovuta ad avvenuta conoscenza di fatti nuovi successivamente.

E, poiché la previsione della non debenza dell’indennità all’agente è prevista dalla Direttiva come ipotesi eccezionale, la Corte ha ritenuto tassative le ipotesi, appunto, di privazione di questa sorta di trattamento di fine rapporto.

Ha escluso cioè applicazioni estensive.
Costituendo cioè un’eccezione al diritto dell’agente ad ottenere un’indennità, l’art. 18, lett. a) della direttiva, va interpretato restrittivamente e tassativamente.

Pertanto, tale disposizione non può essere interpretata in un senso che finirebbe per aggiungere una causa di decadenza dal diritto all’indennità da essa non prevista espressamente.

La Corte osserva più precisamente che, qualora il preponente prenda conoscenza di un inadempimento grave  dell’agente commerciale soltanto dopo la fine del contratto avvenuto a mezzo di recesso da essa proponente operato, non è più possibile applicare il meccanismo previsto dall’art. 18, lett. a) della direttiva, che esclude il riconoscimento dell’indennità appunto per inadempimento grave dell’agente.

Di conseguenza, l’agente commerciale non può essere privato del suo diritto all’indennità sulla scorta di tale disposizione qualora il preponente, dopo avergli notificato il recesso dal contratto mediante preavviso, dimostri l’esistenza di un inadempimento di tale agente che avrebbe potuto giustificare un recesso immediato dal contratto in parola.
La Corte aggiunge che, ai sensi dell’art. 17, n. 2, lett. a), secondo trattino, della direttiva, l’agente commerciale ha diritto ad un’indennità se e nella misura in cui il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso. Non può dunque escludersi quindi, però, che del comportamento di detto agente si tenga conto nell’ambito della valutazione intesa a stabilire il carattere equo dell’indennità che gli spetta.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, comunque la Corte ha dichiarato che l’art. 18, lett. a), della direttiva osta a che un agente commerciale indipendente venga privato della sua indennità di clientela qualora il preponente dimostri l’esistenza di un inadempimento di tale agente, verificatosi dopo la notifica del recesso dal contratto mediante preavviso e prima della scadenza di quest’ultimo, che avrebbe potuto giustificare un recesso immediato dal contratto in parola.
Si deve notare come la pronunzia è particolarmente importante ed interessante per gli operatori del diritto, perché la nostra giurisprudenza è attestata nel senso contrario. Quando successivamente al recesso la preponente venga a conoscenza di comportamenti integranti gli estremi di giusta causa, viene ritenuta legittima una imputazione anche tardiva. Dovremo quindi valutare l’impatto di tale pronuncia del Giudice Comunitario sui nostri Tribunali.

Spero, quindi, di aver dato, sia pur rapidamente, un’idea di come e quando, appunto legislatore e giurisprudenza comunitari, si siano interessati, nell’ambito del diritto del lavoro, anche dei rapporti parasubordinati come quello dell’agente e del rappresentante commerciale e di come vi siano state lungaggini e a volte qualche resistenza, nel raggiungere l’attuale assetto, stabile sino a nuove modifiche, di autentica ed effettiva applicazione della Direttiva 653/86, come è capitato per tante altre Direttive.

Di questo ne va assunta consapevolezza, ma chi si appassiona al diritto comunitario da ciò non può che ricevere stimoli per contribuire, ciascuno per quanto può, a rimuovere le residue disapplicazioni di Direttive per la verità ormai, sempre più rare.

Uno strumento per gli Avvocati, va ribadito, è quello della sollecitazione al Giudice a proporre la questione pregiudiziale al Giudice comunitario.

Nei casi, poi, come quello della sentenza del Lussemburgo del 2010 di cui ho detto da ultimo bisognerà allegare al Giudice Nazionale il precedente giurisprudenziale del Giudice Comunitario.

 

L’avvocato Dario De Landro, Cassazionista, esercita la sua quasi quarantennale attività professionale esclusivamente nel campo civile trattando un po’ tutte le materie con esclusione del diritto familiare e amministrativo.
Nell’ambito del diritto del lavoro in particolare si interessa poi di rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale sia per gli agenti di commercio che per le aziende preponenti nel particolarissimo settore di nicchia di specie essendo tra l’altro fiduciario della Fnaarc Federazione Nazionale agenti e rappresentanti di commercio, che è il sindacato più rappresentativo in Italia.
E’ socio fondatore e Consigliere della A.GI.SA. Associazione Giustizia e Sanità con sede a Roma.
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L’A.E.C. agenti commercio settore industriale del 30/7/2014. Differenze col previgente del 20/3/2002.

Nuovo Accordo Economico Collettivo nel settore industria: affinché gli agenti siano consapevoli della contrattualistica collettiva che li riguarda

 

Esaminiamo questo accordo intervenuto dopo oltre dodici anni dal precedente a conferma del travaglio e delle difficoltà che vi sono state con la controparte stipulatrice.

Quello del settore commercio, come sapete, fu sottoscritto già nel 2009.

Sappiamo bene che gli A.E.C. sono frutto di mediazioni a volte, come qui, difficili per contemperare e trovare un punto di incontro tra le diverse posizioni delle parti stesse.

Dobbiamo dire che le associazioni stipulanti di parte agenziale hanno fatto un buon lavoro.

Rispetto ad altre stesure si nota un impegno notevole da parte di tutte le componenti sindacali, ma un buon risultato il ceto degli agenti ha ottenuto grazie all’opera di chi ha lavorato per loro e quindi, per quel che ci riguarda, della F.N.A.A.R.C.

L’oggetto della chiacchierata che andiamo a fare sarà quello di verificare le differenze rispetto all’accordo previgente del 20/3/2012 così sarà pure più agevole il raffronto per apprezzare le modifiche in melius.

Esaminiamole anzitutto, cominciando con l’articolo riguardante le variazioni di zona, territorio e prodotti, che è l’art. 2.

Vi sono qui importanti novità.

E’ diminuita l’aliquota che fa divenire di rilevante entità, le modifiche al mandato, che passa dal 20% al 15 %, con vantaggio per l’agente, il quale vede limitata a questa minore aliquota le modifiche in peius definite, come detto,  rilevanti.

Le variazioni restano quindi così previste:

Restano considerate di lieve entità le variazioni che incidono fino al 5%

Di media entità se incidono sino al 15% del valore del rapporto.

Di forte entità se incidono sul valore oltre al 15%

Le variazioni di lieve entità, come prima, possono essere imposte previa semplice comunicazione scritta all’agente senza diritto neppure al preavviso.

Quelle di media entità, sempre come prima, previa comunicazione scritta da darsi all’agente almeno due mesi prima, ovvero quattro mesi nel caso di agenti monomandatari.

E ancora come nell’A.E.C. precedente nel caso di variazioni di rilevante entità, il preavviso deve esser pari almeno a quello previsto per la risoluzione del rapporto.

Solo che qui il discrimine tra media e rilevante entità delle modifiche scende dal 20 al 15%.

E sempre come prima l’agente, entro 30 giorni, può comunicare alla mandante di non voler accettare le variazioni di rilevante entità.

Una ulteriore novità consiste che ora lo può fare anche per le variazioni di media entità (5/15%).

In tal caso, la comunicazione dell’agente costituisce preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza come se provenisse dalla casa mandante, con riguardo a tutti i diritti indennitari dell’agente, che restano salvaguardati.

Inoltre, il nuovo A.E.C. porta da 12 a 18 mesi per i plurimandatari e da 12 a 24 mesi per i monomandatari, il periodo precedente l’ultima variazione, in cui la singola modifica apportata dal mandante, o le varie modifiche, anche se realizzate mediante più modifiche ciascuna di lieve entità, si sommano ai fini del superamento del 5%  di variazione, considerandosi unitariamente, come detto, sia ai fini del diritto di preavviso che alla possibilità di cessare il rapporto con gli stessi diritti indennitari come se il rapporto fosse cessato ad iniziativa della preponente.

Pertanto il nuovo art. 2 rappresenta un sensibile miglioramento rispetto all’analogo dell’accordo precedente.

E giungiamo all’ARTICOLO 3: – DOCUMENTI – CAMPIONARIO

L’articolo 3 dell’accordo economico collettivo precedente recita :

All’atto del conferimento dell’incarico, all’agente o rappresentante debbono essere precisati per iscritto, in un unico documento, oltre al nome delle parti, la zona assegnata, i prodotti da trattarsi, la misura delle provvigioni e compensi e la durata, quando questa non sia a tempo indeterminato.

In ogni contratto individuale dovrà essere inserito l’esplicito riferimento alle norme dell’accordo economico collettivo in vigore e successive modificazioni.

Nel caso di affidamento del campionario, sarà altresì previsto che il valore dello stesso potrà essere addebitato all’agente o rappresentante in caso di mancata o parziale restituzione o di danneggiamento.

Nell’accordo del 2014 è stato aggiunto, in calce all’art. 3, la frase :

Non è previsto l’addebito del campionario all’agente o rappresentante per motivi diversi da quelli sopra indicati.

Si è trattato, quindi, di un rafforzamento di un concetto già espresso precedentemente, che però era opportuno per le diatribe che vi erano state e che ora la nuova formulazione intende eliminare.

E così passiamo all’ARTICOLO 4- CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

Nell’A.E.C. del 2002 si legge:

Le norme previste nel presente accordo si applicano anche al contratto a tempo determinato in quanto compatibili con la natura del rapporto, con esclusione, comunque, delle norme relative al preavviso (di cui all’art 9).

Nei contratti a tempo determinato di durata superiore a 6 mesi, la casa mandante comunicherà all’agente o rappresentante, almeno 60 giorni prima della scadenza del termine, l’eventuale disponibilità al rinnovo o proroga del mandato.

Nell ‘accordo del 2014 è stata aggiunta in coda la frase:

In caso di rinnovo di rapporti a termine aventi lo stesso contenuto di attività (zona, prodotti e clienti) la casa mandante può stabilire un periodo di prova solo nel primo rapporto.

Questa è una modifica importante perché precedentemente si era ritenuto che la prova potesse riguardare anche i vecchi rapporti, invece qui la prova viene prevista come possibile solo avuto riguardo alla persona fisica o giuridica dell’agente per cui, se già la mandante ha avuto affidamento verso questa, non v’è motivo di effettuare nei suoi confronti nuove prove, perciò inammissibili.

E’ quindi un’altra norma a salvaguardia dell’agente, della sua professionalità e del suo diritto al preavviso.

E quindi esaminiamo l’ARTICOLO 6 – PROVVIGIONI

Il nuovo accordo disciplina, sempre ovviamente, il momento in cui sorge il diritto alla provvigione.

In sintesi:

  1. I) l’agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi durante il rapporto, quando l’operazione sia stata conclusa per effetto del suo intervento;
  2. II) l’agente ha diritto alla provvigione per gli affari che non hanno avuto esecuzione per causa imputabile al preponente;

III) l’agente o rappresentante che tratta in esclusiva gli affari di una ditta ha diritto alla provvigione anche per gli affari conclusi senza suo intervento, sempreché rientranti nell’ambito del mandato affidatogli;

  1. IV) qualora la promozione e l’esecuzione di un affare interessino zone e/o clienti affidati in esclusiva ad agenti diversi, la relativa provvigione verrà riconosciuta all’agente, che abbia effettivamente promosso l’affare, salvo diversi accordi fra le parti per un’equa ripartizione della provvigione stessa;
  2. V) in caso di cessazione o risoluzione del contratto di agenzia, l’agente o rappresentante ha diritto alla provvigione sugli affari proposti prima della risoluzione o cessazione del contratto ed accettati dalla ditta anche dopo tale data;
  3. VI) l’agente o rappresentante ha diritto alla provvigione sugli affari proposti e conclusi anche dopo lo scioglimento del contratto, se la conclusione è effetto soprattutto dell’attività da lui svolta ed essa avvenga entro un termine ragionevole dalla cessazione del rapporto.

E’ nell’ultimo caso che il nuovo accordo economico collettivo aumenta, rispetto al precedente, il periodo successivo alla fine del rapporto da prendere in considerazione per il diritto all’agente disdettato alla provvigione sugli affari conclusi dopo la fine, appunto, del rapporto. E lo porta da 4 a 6 mesi.

Così infatti recita il comma 12:

Qualora nell’arco di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto, alcune delle trattative iniziate dall’agente vadano a buon fine, quest’ultimo ha diritto alle relative provvigioni. Decorso tale termine, la conclusione di ogni eventuale ordine non verrà più considerata conseguenza dell’attività da svolta dall’agente e non sarà quindi a lui dovuta alcuna provvigione.

E veniamo agli articoli di sempre maggior interesse e cioè gli

ARTICOLI 10 E 11 – INDENNITA’ DI FINE RAPPORTO

Le modifiche più importanti riguardano la quantificazione e determinazione dell’indennità meritocratica nonché la nomenclatura stessa dell’indennità in questione.

Precedentemente l’aggettivazione meritocratica era stata ammessa solo dalla controparte preponente delle aziende commerciali.

Quella delle aziende industriali non aveva mai voluto così nomenclarla volendo rimanere ancorata ad una dizione generica di indennità o componente della indennità di fine rapporto.

La introduzione della parola meritocratica ha, quindi, la sua importanza e valenza.

A questo punto è opportuno ricordare ancora una volta il sistema binario delle indennità di fine rapporto.

Uno è quello codicistico, scandito nell’art. 1751 c.c. la cui formulazione dal 1990 in poi ha inteso dare applicazione alla Direttiva Comunitaria del 1986 e che prevede, quando vi siano i requisiti meritocratici (attività performante dell’agente, vantaggio per la preponente ed equità), una assolutamente unica indennità da quantificazione in un range da zero alla media provvigionale annua dell’ultimo quinquennio o del minor periodo comunque lavorato.

L’altro, secondo la contrattualistica collettiva, che prevede il F.I.R.R. o la I.R.R., la indennità suppletiva di clientela nonché, quando presenti, i requisiti meritocratici (gli stessi fissati dall’art. 1751 c.c., attività performante dell’agente e vantaggio per la preponente) la ulteriore indennità prima qualificata come componente della indennità di fine rapporto e ora, col nuovo accordo 30/7/2014, finalmente, anche definita, meritocratica.

E’ ovvio che nei casi in cui l’indennità codicistica è migliore nel caso concreto alla somma di indennità risoluzione rapporto, suppletiva clientela e meritocratica secondo l’accordo economico collettivo, si dovrà applicare a mente dell’orientamento della Corte di Giustizia europea del 2006, l’indennità codicistica.

Non c’è dubbio però che la migliore (rispetto alla precedente) indennità meritocratica secondo l’A.E.C. 30/7/2014 rappresenta un indiscutibile ulteriore atout per così dire alle giuste pretese dell’agente.

Gli elementi che danno diritto all’indennità meritocratica, secondo il nuovo accordo economico collettivo, vengono indicati all’articolo 10, capo III) che precisa che l’indennità sia dovuta qualora, alla cessazione del contratto, l’agente o rappresentante abbia più precisamente apportato al preponente un sensibile incremento della clientela e/o del giro d’affari e procurato al preponente, anche dopo la cessazione del contratto, sostanziali vantaggi.

Il diritto di percepire l’indennità meritocratica viene perduto dall’agente qualora il contratto si sciolga per un fatto a lui imputabile.

Viene precisato che non si considerano fatti imputabili all’agente o rappresentante le dimissioni:

  1. i) dovute ad accertati gravi inadempimenti del preponente;
  2. ii) dovute ad invalidità permanente e totale;

iii) dovute ad infermità o malattia che non consentano la prosecuzione del rapporto;

  1. iv) successive al conseguimento della pensione di vecchiaia ENASARCO
  2. v) successive al conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata ENASARCO;
  3. vi) successive al conseguimento della pensione di vecchiaia INPS;

vii) successive al conseguimento della pensione anticipata INPS

Un po’ come prima, con la opportuna specificazione di entrambe le pensioni I.N.P.S. e ENASARCO.

MODALITA DI CALCOLO

Il calcolo per la quantificazione dell’indennità meritocratica passa attraverso alcune fasi:

La prima è la determinazione dell’incremento della clientela

E’ necessario innanzitutto individuare l’incremento di clientela che si è avuto durante lo svolgimento del mandato.

Detto valore si calcola tra la differenza degli imponibili complessivi [cioè ogni tipo di emolumento (vedasi art. 11, comma 1)] del periodo finale del rapporto rispetto a quello iniziale.

I periodi (finali e iniziali) da prendere in considerazione per operare il raffronto sono diversi secondo la durata prevista dalla tabella che ora dico:

primi 5 anni di rapporto – si prendono in considerazione le ultime 4 liquidazioni trimestrali rispetto alle prime 4 liquidazioni trimestrali;

dal 6° al 10° anno  –  si prendono in considerazione  le ultime 8 liquidazioni trimestrali rispetto alle prime 8 liquidazioni trimestrali; 

rapporti in corso da oltre 10 anni  – si prendono in considerazione le ultime 12 liquidazioni trimestrali rispetto alle prime 12 liquidazioni trimestrali-

II valore iniziale deve essere rivalutato applicando secondo i dati ISTAT di rivalutazione per i crediti di lavoro.

Il raffronto tra i due periodi deve essere fatto su dati omogenei e, pertanto, quindi, se ci sono state variazioni in melius o in peius nel corso del rapporto (per territorio, clientela, prodotti, ecc.)  ne va tenuto conto.

In base alla durata del rapporto va poi individuato un periodo c.d. di “prognosi” previsto secondo la ulteriore tabella, che anche se noiosa vi accenno, ma che poi ovviamente è da andarsi a vedere di volta in volta:

In pratica è un coefficiente da applicare, come vedremo in un esempio che Vi farò.

 

TIPOLOGIA                                                                                    PERIODO DI PROGNOSI

                                                                                                                                 (anni di proiezione)

Agente monomandatario con durata del mandato fino a 5 anni                                         2,25

Agente monomandatario con durata superiore a 5 anni e fino a 10 anni                          2, 75

Agente monomandatario con durata superiore a 10 anni                                                    3,25

Agente plurimandatario con durata fino a 5 anni                                                                   2,00

Agente plurimandatario con durata superiore a 5 anni e fino a 10 anni                            2,50

Agente plurimandatario con durata superiore a 10 anni                                                      3,00

Va poi determinato un ulteriore coefficiente e cioè il c.d. “tasso di migrazione” che si individua secondo la seguente tabella

TIPOLOGIA                                                                        TASSO DI MIGRAZIONE

Agente monomandatario con durata inferiore o uguale a 5 anni                                       15%

Agente monomandatario con durata superiore a 5 anni e uguale o           inferiore a 10 anni  20%

Agente monomandatario con durata superiore a 10 anni                                                    35%

Agente plurimandatario con durata inferiore o uguale a 5 anni                                         17%

Agente plurimandatario con durata superiore a 5 anni e uguale o inferiore a 10 anni  22%

Agente plurimandatario con durata superiore a 10 anni                                                      37%

Si sottrae, per il primo anno di “prognosi” il tasso di migrazione che si è dato dal valore dell’incremento degli imponibili provvigionali dell’agente.

Per gli anni successivi di prognosi lo stesso tasso di migrazione va sottratto dal valore determinato per l’anno di prognosi precedente e si sommano i risultati così ottenuti.

Vi è poi da calcolare una diminuzione forfettaria.

L’importo ottenuto si diminuisce quindi di una percentuale variabile pari:

al 10% per i contratti di agenzia di durata inferiore o uguale a 5 anni;

al 15% per i contratti di agenzia di durata superiore a 5 anni e uguale o inferiore a 10 anni

al 20% per i contratti di agenzia di durata superiore a 10 anni

Il tutto poi va confrontato con il massimo dell’indennità prevista dall’articolo 1751 c.c.

L’indennità meritocratica secondo l’A.E.C. come risultante dai complessi conteggi detti viene confrontata con quella massima dell’articolo 1751 del cod. civ.(media annua delle provvigioni degli ultimi 5 anni di durata dal rapporto, oppure nel minor periodo lavorato).

Qualora l’importo calcolato ecceda il tetto massimo del 1751 c.c. , l’indennità non potrà esser superiore a quest’ultimo.

V’è da applicare comunque la detrazione da quanto ottenuto degli importi dell’indennità di risoluzione rapporto (FIRR) e dell’indennità suppletiva di clientela.

All’indennità meritocratica come sopra calcolata va difatti sottratta l’indennità di risoluzione del rapporto (FIRR) e l’indennità suppletiva di clientela.

Il calcolo della meritocratica, lo dico più volte qui, è complesso.

Un esempio di calcolo può far meglio comprendere il sistema appena descritto, ma sinceramente la complessità permane.

Si ipotizzi allora un rapporto di agenzia con agente plurimandatario e con una durata di 7 anni.

Secondo la tabella di cui all’articolo 11, il periodo di prognosi è pari a 2,50 anni e il tasso di migrazione è del 22%.

Si ipotizzi un valore dell’incremento apportato dall’agente di € 100.000,00.

Applicazione del tasso di migrazione

Si applica il tasso di migrazione al valore dell’incremento (€ 100.000,00) per il periodo di prognosi:

1° anno     € 100.000,00 – 22%    – € 78.000,00     intero                   €   78.000,00

2° anno     €   78.000,00 – 22%    – € 60.840,00     intero                   €   60.840,00

3° anno     € 60.840,00  – 22%     – € 47.455,00     0,5             €   23.727,00

                                                                           TOTALE             € 162.567,00

Riduzione forfettaria (art. 11 comma 5)

Si abbatte l’importo di € 162.567,00 del tasso di migrazione, con la percentuale forfettaria del 15%, pari ad € 24.385,00, essendo il contratto di durata superiore a 5 anni e inferiore a 10 (art. 11 punto 5).

Si ottiene quindi la somma di € 138.182,00.

Confronto col massimo ex art. 1751 c.c.

La somma ottenuta di € 138.182,00 rispetto al massimo ex art. 1751 deve esser inferiore (cfr. art. 11, punto 6).

Ipotizzando che sia superato e che tale tetto massimo ex art. 1751 c.c. sia di                        € 100.000,00, l’importo di indennità meritocratica è ridotto a € 100.000,00.

Sottrazione di I.R.R. ( o F.I.R.R.) e indennità suppletiva di clientela.

Dalla indennità meritocratica ex A.E.C. 30/7/2014 vanno sottratte I.R.R. e I.S.C.

E’ prevista, poi, una disciplina transitoria per i mandati in corso al 30 luglio 2014 e stipulati prima del 1 gennaio dello 2014.

In questi casi si applicherà fino al 31 dicembre 2015 la disciplina prevista dall’A.E.C. 2002 e a decorrere dal 1° gennaio 2016 quella del nuovo accordo.

Il tutto sempre che il rapporto termini dopo il 31 marzo 2017.

Se cessa prima di tale data i conteggi vanno eseguiti soltanto secondo quanto previsto dall’A.E.C. 2002.

Riepilogando avremo:

  1. a) immediata applicazione del nuovo A.E.C. per i mandati in vigore dopo il 1° gennaio 2014;
  2. b) applicazione della precedente contrattazione per i mandati in vigore dal 1° gennaio 2014 e cessati prima del 31 marzo 2017;
  3. c) applicazione sia dell’A.E.C. 2002 (fino al 31.12.2015) che dell’A.E.C. 2014 (dal 1° gennaio 2016) per i contratti stipulati prima del 1° gennaio 2014 e terminati dopo il 31 marzo 2017.

Il sistema di calcolo della meritocratica, avete visto, necessita il più delle volte degli specialisti o di agenti particolarmente portati ai conteggi e ai calcoli.

Anche in altri stati membri, in verità, come la Germania, hanno elaborato complessi sistemi di calcolo.

Possiamo rilevare come questo sistema di calcolo ottemperi al dettato della fonte normativa (Direttiva Comunitaria e suo recepimento nell’art. 1751 c.c.) senza incorrere in alcuni dei motivi di censura formulati circa gli accordi previgenti dalla sentenza della Corte del Lussemburgo, che è la n° 465C/04 del 03/03/2006.

Vale a dire che l’indennità è rapportata alle provvigioni (come prevede la Direttiva)  e non ad una percentuale delle stesse. Una obiezione che potrebbe resistere è che il raffronto viene sempre fatto in seno all’incremento che ha avuto l’agente durante il suo rapporto e non rispetto all’incremento che l’agente ha apportato avuto riguardo alla situazione quo ante, cioè precedentemente alla sua assunzione del mandato.

Un altro rilievo è che la nostra giurisprudenza ha spesso affermato che il massimo previsto dall’art. 1751 c.c. (la media annua) è la misura base dell’indennità, da decrementare solo in casi poi da giustificare e motivare (ex multis: Cassazione 16347/2007).

Certamente questi sono argomenti ancora da considerare per le precedenti stesure.

Ma s’è detto pure della esigenza di mediare tra gli interessi contrapposti e ora questo è quello che si è evidentemente riusciti a strappare.

Ed invero è un buon passo avanti.

Per – GRAVIDANZA E PUERPERIO, l’art. 13 del A.E.C. porta a 12 mesi la sospensione momentanea del rapporto di agenzia nel caso di gravidanza e puerperio (prima fino a 8 mesi).

Ultima differenza sull’ ARTICOLO 14 – PATTO DI NON CONCORRENZA POST CONTRATTUALE

Le differenze rispetto alla quantificazione previgente sono di scarso contenuto perché relative solo al caso di dimissioni dell’agente, di rapporto plurimandato e solo nel caso di un mandato che non rappresenti più del 25% degli introiti dell’agente.

Nell’ipotesi in cui dovessero concorrere le tre circostanze appena descritte l’accordo economico precedente stabiliva una riduzione dell’indennità al 70% qualora le dimissioni dell’agente non fossero state determinate da:

  1. a) inadempimento della preponente;
  2. b) pensionamento di vecchiaia (ENASARCO);
  3. c) grave inabilità che non consenta più all’agente lo svolgimento dell’attività.

Il nuovo A.E.C. stabilisce che la riduzione del 70% dell’ammontare dell’indennità peri il patto di non concorrenza post contrattuale non si debba applicare in tre ulteriori ipotesi ovvero:

  1. d) pensionamento di vecchiaia anticipata ENASARCO;
  2. e) pensionamento di vecchiaia INPS;
  3. f) pensionamento di anticipata INPS;

Complessivamente, come dicevamo, quindi, il giudizio sul nuovo A.E.C. può esser senz’altro positivo e i miglioramenti rispetto al previgente accordo sono più tangibili che nelle altre precedenti occasioni.

L’avvocato Dario De Landro, Cassazionista, esercita la sua quasi quarantennale attività professionale esclusivamente nel campo civile trattando un po’ tutte le materie con esclusione del diritto familiare e amministrativo.
Nell’ambito del diritto del lavoro in particolare si interessa poi di rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale sia per gli agenti di commercio che per le aziende preponenti nel particolarissimo settore di nicchia di specie essendo tra l’altro fiduciario della Fnaarc Federazione Nazionale agenti e rappresentanti di commercio, che è il sindacato più rappresentativo in Italia.
E’ socio fondatore e Consigliere della A.GI.SA. Associazione Giustizia e Sanità con sede a Roma.
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Ipotesi di nullità per le cd. fideiussioni omnibus

Lo schema negoziale predisposto dall’A.B.I. viola la disciplina della Concorrenza e del Mercato

 

Le cd. “fideiussioni omnibus” sono garanzie personali, diffuse nella pratica bancaria, attraverso le quali un soggetto terzo (fideiussore) garantisce le obbligazioni già assunte o da assumersi dal debitore principale in favore del creditore.

L’A.B.I. – Associazione Bancari Italiana, nello svolgimento delle proprie prerogative associative, predispone degli schemi negoziali aventi ad oggetto condizioni generali di contratto che le Banche possono utilizzare nei rapporti con la Clientela.

Nell’ottobre dell’anno 2002, l’A.B.I. concertò con diverse associazioni di Consumatori uno schema negoziale relativo al contratto di “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie” (cd. fideiussioni omnibus), tra l’altro già oggetto di modifiche su indicazioni fornite dalla Banca d’Italia, per rilievi di incompatibilità di alcune clausole negoziali alla disciplina della Concorrenza e del Mercato.

Va, in proposito, considerato che la Banca d’Italia ha esercitato, sino all’anno 2006, le funzioni di tutela della Concorrenza nel settore bancario, successivamente attribuite all’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, e che la predetta banca d’Italia, con Provvedimento n. 55/2005, ha rilevato il contrasto di diverse disposizioni contenute nello schema negoziale predisposto dall’A.B.I. con l’art. 2, II comma, lettera a) della Legge n. 287/1990, ritenendo configurabile, nella vicenda in questione, un’intesa restrittiva della Concorrenza nel settore del credito bancario.

La Banca d’Italia ha rilevato la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati dagli Istituti Bancari rispetto allo schema negoziale standard predisposto dell’A.B.I., riconducibile ad una consolidata prassi bancaria, anche preesistente allo schema negoziale predisposto dalla stessa Associazione, derogativo della disciplina ordinaria, suscettibile di aggravare la posizione contrattuale del fideiussore, ritenuto privo di un valida giustificazione e che, comunque, impediva un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti.

In particolare l’attenzione della Banca d’Italia si è soffermata su tre clausole negoziali contenute nello schema uniforme predisposto dall’A.B.I.: a) la clausola derogativa della disciplina di cui all’art. 1957 c.c., che esonerava il creditore dal proporre le proprie istanze nei confronti del debitore entro un termine (sei mesi) dalla scadenza dell’obbligazione principale, pena la liberazione del garante; b) la clausola di “reviviscenza” della garanzia dopo l’estinzione del debito principale avvenuto per l’adempimento, per l’ipotesi in cui il creditore fosse tenuto a restituire le somme al debitore principale, impegnando, quindi, il fideiussore a tenere indenne il creditore”; c) la clausola che sanciva la permanenza della garanzia prestata dal fideiussore anche nell’ipotesi di eventuali vizi dell’obbligazione principale, impegnando, quindi, il fideiussore a garantire il creditore anche nell’ipotesi di invalidità dell’obbligazione principale o revoca del relativo pagamento.

La valutazione effettuata dalla Banca d’Italia in ordine alla predette clausole negoziali o, meglio, agli oneri aggiuntivi posti a carico del fideiussore rispetto alla disciplina ordinaria è che non contenessero alcun legame di funzionalità volto a garantire l’accesso al credito bancario, ma che si risolvessero, esclusivamente, nel tentativo di ribaltare sul fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza proprie degli Istituti Bancari, nella fase della predisposizione del contratto o, comunque, nella sua esecuzione.

Da tale valutazione e dall’ampia diffusione, nei contratti utilizzati dagli Istituti Bancari, delle clausole oggetto di verifica, la Banca d’Italia ha tratto la conclusione che il fenomeno non poteva essere ricondotto ad una dinamica spontanea di mercato, ma piuttosto agli effetti di un’intesa tra gli operatori sulle condizioni contrattuali da sottoporre alla Clientela, con la conseguente configurabilità di una violazione dell’art. 2, II comma, lettera a), della legge n. 287/1990 e, quindi, nullità di tali clausole contrattuali.

Merita di essere segnalata una recente Ordinanza della Corte di Cassazione, con la quale è stato affermato il principio in forza del quale anche i contratti stipulati anteriormente al richiamato provvedimento n. 55/2005, emesso dalla Banca d’Italia, possono essere affetti dalla nullità innanzi richiamata; il Supremo Collegio ha, infatti, affermato che: “in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dall’art. 2 della L. n. 287/1990, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscono l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi A.B.I. in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel Mercato a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della Concorrenza” (Cass. Sez. I, Ord. 29810/2017 del 12.12.2017).

La Corte di cassazione ha, pertanto, evidenziato come l’illecito concorrenziale rappresentato dall’intesa tra gli Operatori del settore bancario relativo alle cd. “fideiussioni omnibus” realizzatasi “a monte” era, com’è, idonea a travolgere le negoziazioni “a valle”, rappresentate dalle fideiussioni prestate nei rapporti bancari, a prescindere dall’anteriorità al provvedimento adottato a conclusione dell’indagine dell’Autorità indipendente.

“Intervista” che gli Intermediari sono soliti effettuare mediante appositi “Questionari” e che devono assicurare che la raccolta delle “informazioni” sia utile a consentire l’attribuzione di un adeguato profilo di “rischio e rendimento” del Cliente e che, in ogni caso, sia effettuata in modo tale da consentire la genuinità delle “informazioni” e la consapevolezza dello stesso.

Francesco Mazzella si è laureato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli ed ha svolto il tirocinio professionale in Napoli, presso lo studio legale ‘Ernesto e Francesco Procaccini’.
Abilitato al patrocinio presso le Magistrature Superiori, esercita l’attività professionale occupandosi, tra l’altro, del contenzioso civile, con attività prevalente nel settore bancario e finanziario ed intrattenendo diverse collaborazioni professionali.
Nel 2016 si è abilitato come Gestore della Crisi da Sovraindebitamento.
Dall’aprile del 2017 è stato eletto Presidente della Confprofessioni Campania, partecipa ai lavori del Partenariato Regionale Economico e Sociale della Regione Campania e dell’Osservatorio del Mercato del Lavoro presso Regione Campania.

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Gli Intermediari Finanziari e la raccolta delle informazioni

La cd. “Intervista” al Cliente e l’importanza del Questionario
per una corretta profilatura.

 

Gli Intermediari Finanziari sono tenuti a raccogliere informazioni dal Cliente (“Known your customer rule”) per la cd. “profilatura” ovvero per la definizione del profilo di “rischio e di rendimento” del Cliente, necessario parametro di riferimento per valutare l’adeguatezza di ogni Operazione d’Investimento.

Sono diverse le disposizione del T.U.F. e del Regolamento Consob che disciplinano tale attività cui sono tenuti gli Intermediari e tra questi si segnala l’art. 39 del Regolamento Consob n. 16190/2007, rubricato “Informazioni dai Clienti nei Servizi di consulenza in materia di investimenti di gestione di portafogli”, che espressamente prevede: “Al fine di raccomandare i Servizi di Investimento e gli strumenti finanziari adatti al Cliente o potenziale Cliente, nella prestazione dei Servizi di Consulenza in materia di Investimenti o di gestione di Portafoglio, gli Intermediari ottengono dal Cliente o potenziale Cliente le informazioni necessarie in merito: a) alla conoscenza ed esperienza nel settore di Investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio;” … “2. Le informazioni di cui al comma 1, lettera a), includono i seguenti elementi, nella misura in cui siano appropriati tenuto conto delle caratteristiche del Cliente, della natura e dell’importanza del servizio da fornire e del tipo di prodotto od operazione previsti, nonché della complessità e dei rischi di tale servizio, prodotto od operazione: a) i tipi di Servizi, Operazioni e Strumenti Finanziari con i quali il Cliente ha dimestichezza; b) la natura, il volume e la frequenza delle Operazioni su strumenti finanziari realizzate dal Cliente ed il periodo durante il quale queste operazioni sono state eseguite; c) il livello di istruzione, la professione o, se rilevante, la precedente professione del Cliente”.

L’attività di “Raccolta delle Informazioni dal Cliente” appare strumentale al dovere previsto per gli Intermediari di fornire informazioni adeguate in merito ai prodotti finanziari proposti alla clientela e ciò non solo nell’interesse del singolo investitore, ma a tutela di un interesse generale quale quello dell’integrità e del buon funzionamento dei mercati finanziari e, proprio per tale caratteristiche è da considerarsi inderogabile alla volontà dei contraenti.

A riprova della rilevanza che riveste l’attività di “Raccolta delle Informazione dal Cliente”, l’Autorità Europea di Vigilanza, istituita con Regolamento UE n. 1095/2010, ha fornito diverse indicazione in proposito negli “Orientamenti ESMA” concernenti alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza prescritti dalla MIFID, tra l’altro, recepiti dalle Linee Guida dell’A.B.I., che, seppur non rappresentano obblighi assoluti per gli Intermediari, costituiscono criteri d’interpretazione dei requisiti di adeguatezza della Direttiva M.I.F.I.D. ed hanno lo scopo di garantire un’applicazione comune, uniforme e coerente della stessa.

In particolare, l’Orientamento n. 31 prevede che: “Prima di prestare Servizi di Consulenza in materia di Investimenti o di gestione di Portafogli, le Imprese di Investimento devono sempre raccogliere le <<Informazioni necessarie>> sulle conoscenze e le esperienze del Cliente, sulla situazione finanziaria e sui suoi obiettivi di Investimento”.

Vanno, poi, segnalati gli “Orientamenti” che prevedono la necessità, per l’Intermediario, di adottare politiche e procedure adeguate atte a consentire loro la possibilità di comprendere i dati essenziali sui loro Clienti e di predisporre “questionari” da far compilare ai loro Clienti o da compilare con loro durante le discussioni, strumenti abitualmente utilizzati dagli Intermediari.

Meritano, inoltre, di essere richiamati quei “Orientamenti” che incidono, in modo rilevante, sull’organizzazione interna degli Intermediari al fine di soddisfare esigenze di tutela del Cliente come:  – a) l’Orientamento n. 25 che prevede che: “le imprese di investimento sono tenute a garantire che il personale coinvolto in aspetti rilevanti del processo di adeguatezza possieda un livello adeguato di conoscenze e competenze”; – b) l’Orientamento n. 41 che prevede che: “le imprese di investimento dovrebbero adottare misure ragionevoli per garantire che le informazioni raccolte sui clienti sono affidabili”; – c) l’Orientamento n. 47 che prevede che: “se l’impresa di investimento ha un rapporto continuativo con il cliente, dovrebbe adottare procedure adeguate al fine di conservare informazioni aggiornate ed adeguate sul cliente”.

A ciò va aggiunto che l’attività di “Raccolta delle Informazioni” rientra tra quei obblighi di comportamento che la Legge pone a carico degli Intermediari Finanziari e che gli stessi sono tenuti ad adempiere con diligenza, correttezza e trasparenza, anche nel rispetto degli artt. 1176 e 1375 c.c. e che, ai sensi dell’art. 23, VI comma, del T.U.F., sono gli Intermediari tenuti, nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento, a provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta.

Da quanto innanzi evidenziato possiamo, pertanto, concludere che vi è una sensibile attenzione alla “profilaturadel Cliente anche mediante la cd. “Intervista” che gli Intermediari sono soliti effettuare mediante appositi “Questionari” e che devono assicurare che la raccolta delle “informazioni” sia utile a consentire l’attribuzione di un adeguato profilo di “rischio e rendimento” del Cliente e che, in ogni caso, sia effettuata in modo tale da consentire la genuinità delle “informazioni” e la consapevolezza dello stesso.

Francesco Mazzella si è laureato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli ed ha svolto il tirocinio professionale in Napoli, presso lo studio legale ‘Ernesto e Francesco Procaccini’.
Abilitato al patrocinio presso le Magistrature Superiori, esercita l’attività professionale occupandosi, tra l’altro, del contenzioso civile, con attività prevalente nel settore bancario e finanziario ed intrattenendo diverse collaborazioni professionali.
Nel 2016 si è abilitato come Gestore della Crisi da Sovraindebitamento.
Dall’aprile del 2017 è stato eletto Presidente della Confprofessioni Campania, partecipa ai lavori del Partenariato Regionale Economico e Sociale della Regione Campania e dell’Osservatorio del Mercato del Lavoro presso Regione Campania.

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