Direttiva europea sul copyright

Il Parlamento europeo ha approvato la direttiva: cosa prevede e quali sono i punti di discussione?

Lo scorso 12 settembre è stata approvata la direttiva europea in materia di diritto d’autore relativamente alla sua applicazione online. La direttiva, si propone, infatti, di ridisegnare la mappa dell’utilizzo dei contenuti online, incoraggiata, senza dubbio, dal contesto normativo fermo ormai al 2001 quando internet non aveva ancora un ruolo centrale nel mercato degli Stati membri.

Proprio per questo una disciplina in materia si è resa necessaria e l’Europa ha risposto a questa esigenza di storicizzazione. Non mancano però consistenti dubbi in merito alla sua reale applicazione. Difatti, se da un lato l’Europa ha risposto a un’esigenza di modernità normativa, dall’altro, con la presente direttiva, si rischia di limitare il ruolo di internet.

Ma andiamo per gradi.

L’art. 1 della direttiva in parola espressamente prevede che: “La presente direttiva stabilisce norme volte ad armonizzare ulteriormente il quadro giuridico dell’Unione applicabile al diritto d’autore e ai diritti connessi nell’ambito del mercato interno, tenendo conto in particolare degli utilizzi digitali e transfrontalieri dei contenuti protetti. Stabilisce inoltre norme riguardanti le eccezioni e le limitazioni e l’agevolazione della concessione delle licenze, nonché norme miranti a garantire il buon funzionamento del mercato per lo sfruttamento delle opere e altro materiale”. Pertanto, l’intervento del Parlamento europeo mira a disciplinare gli utilizzi online dei contenuti protetti dal diritto d’autore, prevedendo licenze e concessioni per l’utilizzo a fronte del pagamento di una fee. Certamente assistiamo a uno sfruttamento incondizionato dei contenuti protetti su internet che, se da un lato pregiudica gli interessi dei soggetti che si ritengono lesi, dall’altro favoriscono una libera informazione. Quello che ci si chiede, infatti, è se siano stati correttamente bilanciati i due interessi.

A destare una particolare preoccupazione sono gli articoli 11 e 13 della direttiva.

Articolo 11 della direttiva.

Il primo va a disciplinare la protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale ed indubbiamente va ad incarnare le istanze degli editori che si ritengono lesi dai motori di ricerca che fungono da aggregatori di notizie (un esempio è indubbiamente costituito da google news). Pertanto, l’articolo 11, in particolare, viene considerato – dai più – come il manifesto della vittoria della lotta, intercorsa negli anni, tra i grandi gruppi editoriali e google. Viene infatti previsto: 1. il riconoscimento a favore degli editori di una remunerazione equa e proporzionata per l’utilizzo digitale dei loro contenuti da parte dei prestatori di servizi delle società di informazione; 2. il riconoscimento a favore degli autori di una quota adeguata dei proventi supplementari percepiti dagli editori per l’utilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione.

Preoccupa innanzitutto che non siano stati precisati i criteri per stabilire la detta remunerazione a favore degli editori e degli autori. Pertanto, la norma si presta a un’interpretazione ampia che, in fase di recepimento, può limitare eccessivamente la libera circolazione dei contenuti in internet ovvero lasciare tutto il sistema internet assolutamente invariato, non risolvendo così il quesito della storicizzazione. La limitazione principale può avvenire nel momento in cui, a fronte della previsione della remunerazione, i motori di ricerca ritengano troppo dispendiosa tale attività e, di conseguenza, non facciano più da aggregatori di notizie, limitando la libera informazione in danno agli utenti e molto probabilmente in danno agli stessi editori. Pertanto, l’articolo 11 porta con sé un rischio concreto di una limitazione eccessiva per quanto concerne la circolazione dei contenuti online. E tale rischio non si presenta a monte, come da molti sostenuto: difatti, lo stesso articolo 11 precisa che tale limitazione non si applica nei confronti di utilizzi privati ovvero non commerciali. Ciò vuol dire che ciascun utente potrà sempre liberamente condividere notizie ed articoli – del resto anche il collegamento ipertestuale (c.d. snippet) è sempre consentito. Ma il problema rimane a valle. Vero è che gli utenti potranno condividere liberamente i contenuti giornalistici, ma se i contenuti giornalistici non vengono diffusi dai motori di ricerca, è chiaro che l’intero sistema d’informazione viene necessariamente compresso. Pertanto, il rischio vero è che il reale perdente della surriferita lotta tra i grandi gruppi editoriali e google sia proprio il “diritto acquisito” (finalmente) con internet a una libera informazione.

Articolo 13 della direttiva.

Altro articolo della direttiva che desta particolare preoccupazione è l’art. 13 che disciplina l’utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online. Prevede infatti che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti vadano a concludere accordi di licenza equi ed adeguati con i titolari dei diritti (case discografiche, cinematografiche ecc.). Ciò vuol dire che le piattaforme online possano ovvero debbano esercitare un controllo sui contenuti caricati dagli utenti, escludendo, pertanto, quelli di cui gli utenti non detengono i diritti. Questa norma desta particolare preoccupazione perché impone che i prestatori di servizi di condivisione (molto probabilmente la norma vuole riferirsi ai fornitori di servizi di hosting) svolgano un ruolo di controllo preventivo e generalizzato. Si discute, infatti, se si debba fare ricorso a sistemi tecnologici come quelli di cui dispone youtube (Content ID) in grado di bloccare direttamente i contenuti che ledono i diritti d’autore, senza un reale riscontro dei presupposti di legittimità.

Dai numerosi dubbi che scaturiscono dalla lettura della norma, si comprende, anche in questo caso, il timore di non giungere a una esatta ovvero idonea interpretazione della stessa.

***

Non deve sfuggire, però, che la direttiva deve essere recepita all’interno di ciascun Stato membro e il processo di recepimento sarà esso solo in grado di superare i dubbi sollevati, di sollevare le reali criticità ovvero di redimere le questioni sorte in questa fase. Certamente, seppure in via ipotetica, non è mai troppo presto per riflettere sulle sue possibili applicazioni e sui rischi ad essa connessi soprattutto quando in ballo ci sono interessi come quelli relativi alla libera informazione e libera circolazione della cultura.

Paola Carmela D’Amato, nata ad Avellino il 5 luglio 1984, avvocato civilista, si è laureata in giurisprudenza presso l’Università di Napoli Federico II di Napoli.
Dopo una proficua collaborazione con lo Studio legale Sparano ha iniziato l’attività professionale in proprio fondando lo Studio legale D’Amato e dedicandosi, prevalentemente, al diritto della proprietà industriale ed intellettuale.
E’ iscritta nell’elenco degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato.
Assiste diverse aziende campane nella tutela dei marchi.
Assiste aziende di produzione cinematografica nella stipula di contratti e nella gestione legale dei prodotti cinematografici.

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La nuova “Legge Cinema”. I suoi incentivi e contributi

Incentivi fiscali e i contributi, il tax credit nel cinema e i contributi automatici e selettivi.

 

L’Italia e il cinema, un binomio imprescindibile prima che l’identità industriale del nostro Paese perdesse il suo carattere originario. L’azienda cinematografica ha, senza dubbio, assorbito, più di altri settori, la acclarata depressione industriale degli ultimi anni, sancita, nel caso di specie, non già da una scarsa capacità artistica ma piuttosto da un inadeguato sostentamento ai processi industriali utili ad elaborare e trasformare la materia prima e, successivamente, a favorirne la diffusione. Proprio per questo, la legge n. 220/2016 – rubricata “disciplina del cinema e dell’audiovisivo” – (che in questa sede chiameremo “nuova legge cinema”) porta con sé la realizzabilità di un mercato cinematografico e audiovisivo competitivo e ancor più il superamento di tutte le note critiche che hanno accompagnato la riferita depressione, attraverso la precisa e sistematica previsione di contributi e incentivi fiscali e attraverso una serie di regole speciali per le opere che beneficeranno dei vari incentivi governativi[1].

La nuova legge cinema presenta, trai i suoi principali obiettivi, quello di voler realizzare un cinema “sostenibile”, dove la sostenibilità viene garantita da interventi pubblici e privati che trovano la loro fonte nell’industria cinematografica stessa, resa possibile proprio grazie alla costruzione di un sistema autonomo e autosufficiente.

Viene, per questo, istituito il “Fondo per il Cinema e l’audiovisivo”, un contenitore delle risorse economiche costituite, nella misura dell’11% e per un valore non inferiore a 400 milioni di euro annui, dal gettito IRES e IVA versato dai soggetti del cinema e dell’audiovisivo stessi. Tali risorse verranno utilizzate per la distribuzione dei diversi contributi previsti dalla legge cinema, tra i quali ricordiamo i contributi automatici e selettivi e il credito di imposta (tax credit).

Gli incentivi fiscali e i contributi.

Il punto centrale della legge è, così, costituito dalla progettazione di un nuovo sistema di finanziamento che trova la sua fonte nel settore di destinazione stesso. L’erogazione dei contributi, difatti, viene garantita proprio dall’operatività del sistema. Gli interventi esterni costituiscono un aspetto collaterale in grado di sostenere l’azienda cinematografica.

Negli ultimi anni, difatti, l’azienda cinematografica si è avvalsa di finanziamenti esterni stimolati dalla ricompensa del credito di imposta che ha generato un diverso modo di concepire il cinema e soprattutto un’ apertura del cinema stesso verso altre realtà produttive. Così, la nuova legge è finita per progettare un sistema mai concepito: la struttura progettata dalla nuova legge è, infatti, prevalentemente autonoma e in grado di autorigenerarsi e autoprodursi. Ma vediamo nel dettaglio quali sono gli incentivi fiscali e i contributi previsti e come questi interagiscono e operano nel sistema.

Il tax credit nel cinema.

Per tax credit si intende la possibilità, per ciascun investitore nel cinema e nell’audiovisivo, di veder ricompensato il proprio investimento, usufruendo del credito di imposta, in misura proporzionale al conferimento effettuato e nei limiti stabiliti dalla legge (la sua misura è pari, a seconda dei casi, a un minimo del 15 percento fino a un massimo del 40 percento). Tale credito può essere utilizzato esclusivamente in compensazione. La sua originaria previsione la rinveniamo nella legge finanziaria del 2008, alla quale seguono diversi decreti ministeriali (dal 2009 al 2015) utili ad estendere e disciplinare il beneficio fiscale. La nuova legge integra la previsione del tax credit nell’ambito di questo sistema autonomo, prevedendo, inoltre, in alternativa alla compensazione, la possibilità di cederlo a intermediari bancari (ivi incluso l’Istituto per il credito sportivo), finanziari e assicurativi. Tra l’altro, nel caso di cessioni a favore dell’Istituto per il credito sportivo, è anche possibile stipulare convenzioni che limitino la destinazione dei crediti ceduti al settore del cinema e dell’audiovisivo.

Intanto i soggetti che godono del detto beneficio sono soggetti che investono danari e/o servizi nel cinema e nell’audiovisivo e si distinguono in soggetti investitori che fanno parte del settore in discorso e soggetti investitori appartenenti ad altri settori o, in ogni caso, completamente estranei all’azienda cinematografica e audiovisiva: si distingue, infatti, il tax credit interno da quello esterno, volendo riferirsi proprio a questa preliminare differenza soggettiva. In secondo luogo e in merito alla natura dei soggetti investitori, questi possono essere sia persone fisiche che persone giuridiche. L’unica eccezione è costituita dall’ipotesi in cui l’apporto conferito abbia ad oggetto servizi e non risorse finanziarie, poiché, in questo caso, per soggetti investitori possono intendersi esclusivamente le persone giuridiche. Ma il discrimen rilavante tra i due tipi di investitori viene dato essenzialmente dal ruolo che rispettivamente rivestono nel sistema. Difatti, laddove l’investitore sia una società interna al settore ovvero, in via meramente esemplificativa, una società di post-produzione e l’ intervento finanziario e/o l’apporto di servizi vada a confluire in un proprio progetto, il ruolo di “investitore” ha una rilevanza giuridica solo ai fini dell’accesso al credito di imposta, in quanto, oltre ad apportare risorse, l’investitore è anche il proprietario del progetto finanziato (sia pure in forma associata). Può però anche aversi il caso in cui una società del settore investa in un progetto cinematografico altrui, di cui non pretende quote di diritti sul prodotto e di cui non intende condividerne le perdite: in questo caso il ruolo dell’investitore, ancorché interno al settore, è assolutamente identico a quello rivestito dall’investitore esterno di cui infra. Per facilitare questa ulteriore distinzione chiameremmo “investitore interno proprio” colui che investe in un proprio progetto (seppure la proprietà sia in forma associata) e “investitore interno improprio” colui che investe in un progetto altrui (privo, per questo, di diritti dominicali sul prodotto finale).

L’investitore esterno ovvero un soggetto imprenditoriale e/o una persona fisica non appartenente all’industria cinematografica e/o audiovisiva, può, a fronte di un investimento nel cinema e/o nell’audiovisivo, godere del credito di imposta alla sola condizione che sottoscriva un contratto di associazione in partecipazione agli utili ai sensi e per gli effetti degli artt. 2459 e ss. c.c. Ciò vuol dire che l’investitore esterno, a differenza dell’investitore interno proprio non entra nel vivo della produzione né tantomeno diventa proprietario di quote di diritti sul prodotto. Egli conferisce alla produzione un servizio ovvero una somma di danaro e partecipa ai ricavi netti in misura  proporzionale al conferimento. Pertanto, nel caso in cui un’azienda immobiliare abbia effettuato una spesa di € 10.000, in termini di investimenti, può ottenere un credito di € 3.000,00 che potrà utilizzare in compensazione, cedere e quindi, eventualmente, rinvestire nel settore.

Pertanto, con il tax credit esterno assistiamo a una tipologia di intervento complessa perché se da un lato l’investimento diretto deriva da altri sistemi, dall’altro, l’incentivo all’investimento stesso è strettamente correlata al funzionamento del sistema automatico del cinema e dell’audiovisivo. Del resto l’aspetto più interessante della nuova legge è l’interazione tra i diversi tipi di incentivi previsti e il loro ruolo attivo nel funzionamento dell’intero sistema. La legge tende ad integrare tutti gli interventi e a farli cooperare al fine di consentire ai prodotti di particolare qualità artistica di ottenere maggiori erogazioni che, a loro volta, andranno ad integrare il funzionamento di tutta la struttura. Pertanto, anche nel caso del tax credit sussiste una forte interazione tra investimento, beneficio e caratteristiche proprie del prodotto finanziato.

 I contributi automatici e selettivi.

Se con la disciplina del tax credit, sia esso interno che esterno, assistiamo a un contributo indiretto da parte dello Stato e ancor più a un mero sostegno al funzionamento del sistema automatico e autosufficiente, come previsto dalla nuova legge, con i contributi che lo Stato eroga direttamente a favore del cinema e dell’audiovisivo siamo di fronte alla forma diretta di incentivo alla industria di settore. La nuova legge cinema prevede infatti che il Fondo per il Cinema e l’audiovisivo accantoni risorse che derivano dal gettito erariale al fine di erogare, oltre il detto credito d’imposta, anche contributi automatici e selettivi.

Per contributi automatici si intendono le erogazioni economiche favorite alle imprese di settore che abbiano una posizione contabile presso il Ministero calcolate sulla base dei risultati economici, culturali e artistici oltre che di diffusione ottenuti. Per le opere cinematografiche si tiene conto prevalentemente degli incassi ottenuti nelle sale cinematografiche italiane, anche in relazione al rapporto fra gli incassi ottenuti e i relativi costi di produzione e di distribuzione. Per le opere audiovisive si tiene, invece, conto prevalentemente della durata dell’opera realizzata e dei relativi costi medi orari di realizzazione.

Per contributi selettivi si intendono i contributi a favore della scrittura, sviluppo, produzione e distribuzione nazionale ed internazionale di opere cinematografiche e audiovisive. Ai fini dell’erogazione si tiene conto del requisito oggettivo di opera prima e/o seconda e della complessità dell’opera in relazione alle modeste risorse utilizzate, nonché della particolare qualità artistica del prodotto.

La particolarità dei summenzionati contributi sta certamente nella loro origine, essendo questa strettamente correlata al sistema e in grado di rigenerarsi grazie a nuove produzioni che trovano il loro slancio proprio nelle erogazioni pubbliche. La struttura del sistema progettata dalla nuova legge ha, pertanto, i caratteri di un circuito elettrico e la sua principale energia la si rinviene, esclusivamente, nell’espressione artistica. Per il momento è chiaro che la prospettazione del riferito meccanismo opera esclusivamente in via teorica, in quanto, come già sostenuto dal Prof. Avv. Cesare Galli (cfr. nota 1), risulta difficile prevedere cosa effettivamente accadrà.

Note conclusive.

A conclusione di questa breve indagine sul tema, si comprende la ratio della legge finalizzata prevalentemente a conferire piena autonomia al settore. Pensiamo, infatti, al caso in cui l’azienda di produzione cinematografica Alfa – che ha ottenuto investimenti esterni per la produzione di un Film Gamma e contributi automatici proprio per le particolari caratteristiche del Film Gamma – intenda utilizzare i contributi automatici per finanziare il progetto Delta di un giovane autore. In questo caso il progetto Delta viene finanziato dall’azienda Alfa, in misura esattamente corrispondente alla somma erogata come contributo automatico per il Film Gamma. A fronte del finanziamento l’azienda Alfa potrà accedere al beneficio del tax credit – di qui ottenere un credito da utilizzare in compensazione o che potrà cedere e ottenere una corrispondente somma in danaro – mentre il giovane autore non solo riuscirà a realizzare il suo progetto ma potrà ottenere i c.d. contributi selettivi, utili, eventualmente, a finanziare la realizzazione di una nuova idea. Con la realizzazione di tutte queste ipotesi ci troviamo di fronte a un modello perfetto di sistema automatico e autosufficiente.

Un sistema in grado di autoalimentarsi e in grado di rigenerare le risorse che in esso confluiscono costituisce certamente il paradigma di una realtà efficiente, in grado di svilupparsi e raggiungere elevati livelli di competitività. Del resto lo scopo della nuova previsione normativa è proprio quello di realizzare un cinema “sostenibile” e competitivo.

[1] sul punto v. Prof. Avv. Cesare Galli “La nuova legge sul cinema introduce regole speciali per i diritti di proprietà intellettuale sulle Opere Agevolatein Marchi e Brevetti Web – Sezione Angolo del Professionista, che analizza l’importante interazione e la necessità di coordinamento tra la legge sul diritto d’autore e le nuove regole previste nelle ipotesi di “Opere Agevolate”.

Paola Carmela D’Amato, nata ad Avellino il 5 luglio 1984, avvocato civilista, si è laureata in giurisprudenza presso l’Università di Napoli Federico II di Napoli.
Dopo una proficua collaborazione con lo Studio legale Sparano ha iniziato l’attività professionale in proprio fondando lo Studio legale D’Amato e dedicandosi, prevalentemente, al diritto della proprietà industriale ed intellettuale.
E’ iscritta nell’elenco degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato.
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La tutela del diritto d’autore per la creazione di ricette culinarie

La giurisprudenza italiana sulle ricette culinarie, la tutela delle ricette ex se e la paternità della ricetta.

 

  1. La giurisprudenza italiana sulle ricette culinarie

È possibile tutelare le ricette culinarie? Si tratta di una domanda tutt’altro che oziosa, alla luce dell’importanza che il settore food ha assunto nell’economia nazionale.

Della questione si è occupata, almeno in parte, una decisione giurisprudenziale – la sentenza del Tribunale di Milano n.9763/2013 – dalla quale conviene prendere le mosse, al fine di analizzare la fattispecie.

I giudici meneghini si sono, infatti, pronunciati in senso favorevole alla possibilità che anche una ricetta culinaria possa rientrare nel novero delle opere tutelate dalla legge del diritto d’autore. Questo assunto, però, merita di essere filtrato attraverso la verifica dell’esistenza di importanti presupposti: come la sentenza in parola ritiene, infatti, la tutela autorale può rinvenirsi esclusivamente nella forma espressiva delle ricette. Pertanto, la ricetta, rectius la sua forma espressiva, ai fini di una tutela, deve assumere le caratteristiche di un elaborato creativo.

Per elaborazione creativa si intende un’elaborazione che abbia un riconoscibile apporto creativo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore: la creatività, ai fini di una rilevanza giuridica, deve, pertanto, estrinsecarsi in una determinata forma espressiva (cfr. sul punto Cass. n. 9854/2012; Cass. n. 15496/2014; Cass. n.20925/2005).

Nel caso sottoposto alla cognizione del Tribunale di Milano, la controversia aveva ad oggetto l’edizione di un libro di ricette che presentava contenuti espressivi di proprietà di terzi. Invero, l’autore del libro aveva provveduto – senza averne l’autorizzazione – a inserire nella sua opera alcune ricette come esattamente descritte da una terza persona nel suo blog di cucina. Pertanto, il libro di ricette presentava contenuti creativi di proprietà altrui e per questo si concretava una violazione sic et simpliciter della legge sul diritto d’autore.

Ciò che ha fatto propendere i giudici verso una tutela autorale della ricetta in discorso non è stato, quindi, il singolare metodo di preparazione, né tantomeno la realizzazione in sé della ricetta riprodotta, quanto, piuttosto, la forma espressiva utilizzata per descriverne il processo.

  1. La tutela delle ricette ex se

È chiaro, quindi, che il caso di specie non risponde in maniera esaustiva al dubbio circa l’estensione tout court della tutela autorale alle ricette di cucina. Tutt’altro. Dalla pronuncia in discorso sembrerebbe ricavarsi proprio l’assunto contrario ovvero l’assenza della possibilità di una tutela autorale per le ricette che non abbiano avuto una particolare, nonché creativa, forma espressiva.

Ma questa conclusione potrebbe non essere completamente esatta, dal momento che, a chi scrive, appare che anche ulteriori elementi debbano essere presi in considerazione.

Innanzitutto, occorre comprendere, da un punto di vista tassonomico, cosa si intenda per “ricetta culinaria”, potendosi tale lemma riferire al mero processo di preparazione ovvero al metodo di integrazione degli ingredienti o, ancora, al modo in cui viene espressa la ricetta stessa o, infine, al prodotto finale quale sintesi di tutto ciò. Ci si chiede, a questo punto, cosa accada nel momento in cui una ricetta di un prodotto originale non abbia avuto una propria elaborazione artistica, se non nella fase della realizzazione/esecuzione. È chiaro che il problema inerente alla tutela di una ricetta culinaria, intesa come momento di ideazione del procedimento di preparazione, afferisce al binomio ideazione/realizzazione (del resto una ricetta di un prodotto particolare altro non è che l’elaborazione di un’idea che dovrà poi essere concretata). E se, da un lato, il nostro ordinamento non prevede una tutela autorale per le idee in quanto tali, dall’altro, la fase che precede la realizzazione dell’opera e quindi l’elaborazione dell’idea, riscontra un’unanime esigenza di tutela (pensiamo, ad esempio, alla ormai indiscussa tutela autoriale del format di un programma televisivo).

Ma a questo importante passaggio dobbiamo senz’altro aggiungerne un altro: ai fini di una tutela autoriale è necessario che l’oggetto della tutela stessa presenti il carattere della creatività e della novità. Ora, nel caso di una ricetta e quindi di una elaborazione di idee, come si può effettivamente riscontrare il carattere creativo? È davvero sempre necessario che la ricetta abbia una forma esteriore creativa? È sufficiente che la creatività venga riscontrata nell’originalità relativa alla combinazione di determinati ingredienti?

È risaputo che l’elaborazione di idee, per ottenere tutela, deve presentare un livello minimo di compiutezza espressiva, al di là del contenuto originale e creativo. Pertanto, le ricette, per quanto originalissime, non possono concorrere alla tutela autorale semprechè non assumano altre forme espressive alle quali l’ordinamento estende – in maniera indiscussa – la tutela.

In tal senso, occorre considerare anche il carattere, per dir così, percettivo delle ricette. Le ricette – come osservato dalla migliore dottrina (cfr. A. Musso, Diritto d’autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, in Comm. Cod. civ. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2008, p. 54) – non sono associate alle facoltà di vista e udito che, storicamente, hanno rappresentato il discrimen concettuale e cognitivo delle opere ricomprese nell’ambito del diritto d’autore.

Alla luce di tale considerazione, si comprende il motivo che induce ad accordare protezione all’aspetto creativo di un blog di ricette, o ad un testo scritto che contenga l’indicazione per la preparazione di piatti, e non alle ricette in sé. Si comprende che la originale combinazione di ingredienti utilizzati per la realizzazione di un particolare piatto non è di per sé suscettibile di tutela.

A questo punto dovrebbe, quindi, concludersi per l’impossibilità di una tutela autorale per le ricette di cucina, in quanto si riscontrerebbe una tutelabilità solo laddove la ricetta sia trasposta in un testo scritto o in una presentazione orale, sempreché coperte dal diritto d’autore.

  1. La paternità della ricetta

Il problema, come si accennava, si pone di fronte al caso in cui sia necessario tutelare la ricetta in sé, perché, ad esempio, c’è una contestazione in merito alla sua paternità.

Per semplificare la nostra indagine sul punto, pensiamo al caso di un prodotto di pasticceria originale, denominato “A” e ideato dal pasticciere Tizio. Pensiamo inoltre che Tizio non abbia provveduto a scriverne la ricetta ed abbia, invece, provveduto a registrare il marchio e/o il disegno. Pensiamo infine che un altro pasticciere, Caio, assegni alla ricetta del prodotto “A” una forma espressiva creativa: quale tutela possiamo accordare al pasticciere Tizio?

Il quesito non è di pronta soluzione, in quanto molteplici sono gli aspetti da considerare. Invero, nel caso immaginato, il pasticciere Tizio, che ha ideato e realizzato per prima il dolce “A”, non ha provveduto a dare alla sua ricetta forma espressiva e ha, invece, ritenuto idoneo, al fine di evitare rivendicazioni da parte di terzi, provvedere a registrare il nome di “A” come marchio della sua impresa e provvedere a registrare il disegno del prodotto. In questo modo, però, ha certamente favorito la tutela della proprietà industriale – distintamente – del marchio e/o del disegno di “A”. In realtà marchio e disegno rappresentano parti di “A” ma non lo integrano totalmente e, ancor meno, integrano la sua idea. È certo, tuttavia, che il pasticciere Tizio abbia prodotto per primo il dolce denominato “A”, che presenta quella determinata forma esteriore, come descritta nel disegno registrato. Il pasticciere Caio, di contro, ha provveduto, per primo, a scrivere la ricetta di “A” in una originale raccolta.

Stando a quanto detto sinora, la forma originale di scrittura di Tizio trova certamente tutela autorale, nonostante contenga ricette ideate da terzi. Le pretese di Tizio possono, senz’altro, trovare terreno fertile sul piano della proprietà industriale. Pertanto, le posizioni dei due pasticcieri sono entrambe tutelabili ma sotto due diversi profili ed è proprio questa distinzione dei profili che rende impossibile un contrasto giuridicamente rilevante. Pertanto, da un lato, si dovrà accordare tutela autorale a Caio per il suo scritto e, dall’altro, tutela industriale a Tizio per la sua accertata proprietà. In nessuno dei due casi è però data rilevanza alla ricetta di “A” e alla sua paternità.

Si deve dare atto che propendere per una soluzione di questo tipo è alquanto fuorviante, sempreché legally correct. Questo perché la forma espressiva creativa che consente alla ricetta di essere tutelata non deve necessariamente riguardare il momento dell’elaborazione dell’idea, ma può riguardare anche il momento finale ovvero quello in cui viene data esecuzione. Questo sembrerebbe possibile esclusivamente nel caso in cui, vincendo le resistenze di cui sopra, un prodotto culinario possa essere equiparato a un’opera architettonica o a un’opera fotografica. Difatti, questo tipo di opere riscontrano una tutela autorale certamente per la loro forma esteriore ma è chiaro che, laddove siano stati utilizzati particolari processi di lavorazione o particolari materiali, il lavoro finale ingloba tutte le fasi precedenti e crea una sintesi dell’opera che fa senza dubbio capo al suo autore finale (nel caso in cui non si tratti di un’opera collettiva). Seguendo questa logica, dunque, “A”, quale prodotto complesso, realizzato per primo da Tizio, sintetizza tutte le fasi utili alla sua realizzazione e costituisce esso stesso la forma espressiva creativa ultima che è indubbiamente meritevole di tutela. In questo modo Tizio sarà l’autore indiscusso di “A” se e solo se ad “A” possa estendersi tutela proprio come un’opera architettonica e al tempo stesso l’autore di tutti i processi utilizzati per la sua realizzazione, sempreché originali e creativi.

Pertanto, se pure lo scritto di “F” ha un suo spazio vitale parallelo rispetto a quello di “T” (il primo vede la tutela autorale dello scritto e il secondo la tutela della proprietà industriale del marchio e del disegno e, nel caso in cui si riesca a individuare nella ricetta in sé un’opera meritevole di tutela, anche tutela autorale) avendo “F” utilizzato nella sua opera originale un contenuto rilevante giuridicamente di proprietà di “T”, deve inevitabilmente subire la difesa in termini di proprietà intellettuale e, quindi, riconoscere la paternità della ricetta esclusivamente in capo a “T”, proprio come quando in un’opera cinematografica si utilizza un brano musicale di altri a suo completamento.

Questo potrebbe costituire uno slancio interpretativo utile a fondare una pretesa di tutela autorale per le ricette in sé che, altrimenti, rimarrebbero sempre irrilevanti per la proprietà intellettuale, nonché prive del carattere della creatività.

Paola Carmela D’Amato, nata ad Avellino il 5 luglio 1984, avvocato civilista, si è laureata in giurisprudenza presso l’Università di Napoli Federico II di Napoli.
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