La tutela del minore all’interno delle nuove norme e del sistema garantista predisposto dal legislatore risente fondamentalmente della trasformazione del concetto di famiglia.
Nella famiglia del terzo millennio trovano accesso le libertà fondamentali della persona, imprescindibili, anzi arricchite da quelle del ruolo esercitato all’interno del gruppo. Si assiste ad un’osmosi continua tra “dentro” e “fuori”, una continuità mai percepita nella tutela dei diritti della persona tra il pubblico ed il privato.
La tutela della persona non si affievolisce nella famiglia, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano una diversa protezione a seconda che i titolari si pongano o meno all’interno di un contesto familiare. Vengono sottolineati attraverso interessanti e critici passaggi giurisprudenziali i nuovi contenuti dei doveri coniugali e genitoriali, che vedono protagonisti la solidarietà, il sostegno attivo, il rispetto delle singole individualità, l’attenzione alle esigenze personali, senza schemi precostituiti, finalizzati a garantire il perfetto inserimento nel contesto sociale e la partecipazione. Sembra che la grande rivoluzione sia immaginare un privato che aiuti a collocare fuori la persona. La famiglia diventa quindi sintesi del processo di conoscenza, come esperienza affettiva e di cura.. In un’ottica idealtipica weberiana l’amore di cui parla il legislatore non e’ il fine ma lo strumento che consente una sana espansione della persona. Non può trovare ingresso nella prassi giuridica un’affermazione di genitorialità priva dei contenuti descritti, si evolve, quindi, il concetto di educazione andando a fondare proprio l’idoneità genitoriale. L’elemento fondante la responsabilità genitoriale è l’educazione.
Essa si configura come un munus affermato all’art.30C per i genitori, riconosciuto all’interno dell’autonomia che l’art.2 C. attribuisce alla famiglia, contemperato dai limiti posti dagli artt. 2,8,19, 21 C.
Le libertà di culto, di pensiero, di stampa, libertà di associazione politica, rispetto alle formazioni sociali, sono considerate alla stregua di diritti indeclinabili del minore naturalmente capace, un nucleo base, dunque, che deve essere assunto a modello dell’azione pedagogica dei genitori integrando la serie di diritti e doveri loro assegnati dal primo comma dell’art.30C
Questo dovere si è sostanziato negli anni di nuovi contenuti rispetto a cosa e rispetto al come.
L’ambito genitoriale si delinea attraverso un gioco di cerchi concentrici in cui vengono definiti i limiti massimi e minimi usando come parametri il welfare del minore, il pregiudizio e la violazione dell’ordine pubblico.
Il pregiudizio non è predeterminato così come il welfare, ma, soccorrono a identificarlo vari indicatori psicosociali che permettono di contestualizzare le diverse modalità socio-ambientali, culturali ed economiche, in cui si vanno a misurare i bisogni e la mancanza di tutela degli stessi.
Più precisamente le norme che menzionano le esigenze, i bisogni, rinviando alla famiglia considerata nella sua totalità, si riferiscono però agli interessi della singola famiglia quali emergono dalla concreta esperienza di vita, di quella famiglia della quale eventualmente il giudice debba occuparsi per valutare diritti e doveri dei coniugi e dei figli e per apprezzarne la condotta in termini di adeguatezza o di difformità dagli standards esigibili.
E’ fondamentale quindi il concetto innovativo di famiglia e i nuovi doveri che definisce, quale ad es. descritto nella sentenza 18/4- 10/5/2005 n.9801 Costituisce infatti acquisizione da tempo condivisa che nel sistema delineato dal legislatore del 1975 il modello di famiglia-istituzione al quale il c.c. del 1942 era rimasto ancorato, e’ stato superato da quello di famiglia comunità i cui interessi non si pongono su un piano sovraordinato ma si identificano con quelli solidali dei suoi componenti. La famiglia si configura come luogo d’incontro e di vita comune dei suoi membri come sede di autorealizzazione e di crescita segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli nell’ambito della quale i singoli componenti ricevono tutela come persone in adesione al disposto di cui all’art.2 C. La storia della giustizia minorile ha condotto di pari passo al riconoscimento del diritto all’educazione del minore, quale interesse pubblico e della collettività di appartenenza ed infine al diritto del minore all’educazione quale posizione soggettiva meritevole di tutela a prescindere dai vantaggi del contesto sociale circostante con conseguente evoluzione della finalità delle procedure minorile dirette, in un primo tempo, a disporre un intervento sostitutivo o suppletivo dell’azione educativa dei genitori e soltanto in un secondo tempo alla pronuncia di una decisione sulla condizione giuridica del minore. Tale premessa (il diritto del minore a crescere in una famiglia adeguata al compito di formazione) e’ indispensabile per comprendere come il processo minorile vada ad incidere sul conflitto tra il diritto-dovere dei genitori ad assolvere il compito di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, potendo la decisione giungere ad una definitiva declaratoria dello stato di abbandono e della estromissione del figlio dal nucleo di appartenenza. La gravità delle situazioni affrontate ha reso opportuna la previsione di strumenti processuali duttili, ispirati a criteri di urgenza, immediatezza delle decisioni ed officiosità dell’istruttoria. L’affermarsi quindi di una progressiva tendenza a giurisdizionalizzare i rapporti afferenti alla funzione di protezione del minore ha origine in una istanza di garanzia che soltanto attraverso l’attribuzione al giudice della detta funzione si e’ ritenuto di poter assicurare, potendo il giudice non soltanto esercitare un’assistenza e salvaguardia dell’infanzia abbandonata ma soprattutto interferire sulla volontà genitoriale attraverso un controllo dei poteri-doveri loro spettanti in funzione dell’interesse del figlio. Da ciò nasce l’esigenza di garantire la partecipazione e la difesa di tutti i soggetti interessati. La L. 149/01 che ha modificato la 184/83 recependo i principi espressi nella Convenzione adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata in Italia con la L. 20/3/2003 n. 77 (ascolto del minore) ha delineato una modifica del processo civile minorile con la previsione di una partecipazione di tutte le parti chiamate tra cui anche il minore rivestito di un’autonoma veste processuale e pur attribuendo al Pubblico Ministero il potere di iniziativa, ha lasciato comunque al giudice la possibilità di intervenire in via di urgenza anche in assenza dei difensori salva la necessita’ di ratifica successiva e con le garanzie della difesa. La legge ha fissato alcuni principi: 1) l’avvocato del minore in ogni provvedimento relativo a questioni di potestà e non solo in caso di conflitto di interessi, e questo e’ l’ovvia conseguenza della natura dei procedimenti aventi ad oggetto condotte pregiudizievoli dei genitori nei confronti dei figli minori; 2) il principio della obbligatorietà della difesa tecnica del minore; 3) la nomina di un avvocato a prescindere dalla capacita’ di discernimento del minore. Con la medesima riforma e’ stato affermato il diritto del minore all’affidamento etero-familiare nelle situazioni di difficoltà del nucleo di origine con conseguente trasferimento in tutto o in parte, da un lato delle espressioni della responsabilità genitoriale quali il mantenimento, l’educazione e l’ istruzione in capo agli affidatari nelle ipotesi di limitazione o ablazione della stessa incidendo in tal modo sulla titolarità spettante ai genitori, dall’altro lato consentendo al minore di esprimere il proprio parere o consenso per la prosecuzione o sospensione dell’affidamento stesso ed attribuendogli, dunque, un valore di partecipazione essenziale al processo stesso.
Quindi in linea generale si afferma il diritto del minore a vivere nella propria famiglia, ma, al contempo, si richiede al nucleo originario un’adeguatezza tale da garantire l’inserimento e la crescita del minore quale cittadino in formazione. Si attribuisce e si riconosce la valenza della famiglia come primaria agenzia formativa.
D’altra parte la capacità affettiva, con la quale si indica generalmente la capacità genitoriale anche nella individuazione delle coppie pronte all’adozione, si sostanzia proprio dei tre indicatori di cui alla Costituzione, mantenere, educare, istruire; indicatori ormai inscindibili nella valutazione del giudice minorile e che possono essere surrogati e/o integrati da risorse dello stato sociale solo per breve tempo, considerando , per cassazione costante, una inadeguatezza senza possibilità come dire di rinascita anche il mancato reperimento di strumenti idonei al superamento dei propri problemi.